non so se le forme pervertono il silenzio
come lo fanno gli attraversamenti dei percorsi,
i sentieri e i loro accumuli di passi;
qui è una sospensione tornante di rocce
passate per i corridoi dei piedi; dicono
di postazioni collassate, di tracce identiche
a quel buio che una volta ha divelto le pietraie;
si percorre la costa tesa dalle piogge, nella conca
consumata dal viaggio che è ancora quello di ieri,
ripreso da verità indenni, da coalescenze
di frammenti nel processo che puntella ogni vallata:
è proprio qui che un dio ha digrignato il suo vuoto,
proteso alle foschie di Bàres, a lambire la distesa
fino a quando è rosso e si scollina; una striscia
uguale a queste pietre per poi sparire, sparire…
Si tratta, più che di un intervento progettato, di un effetto collaterale dovuto alle tre settimane passate in (quasi) assoluta solitudine.
RispondiEliminaSpero possa essere apprezzato, comunque.
lo è. Pare che la tua scrittura abbia trovato una certa regolarità scabra, raboniana. La densità lingustica dell'ultima strofa merita un plauso - phlebas
RispondiEliminaPare tu stia calcando altri sentieri. Analoghi, uguali e contrari, certamente interrotti. Io credo che questo sia, non so, una specie di filo di Arianna. Una scia silicea fino al cuore della terra.
RispondiEliminaAnche io ho apprezzato, in particolare, l'ultima strofa. Questo dio che digrigna il suo vuoto... Come un vizio assurdo, un tic. Ma già trascorso.
bella - non aggiungo altro :P
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