martedì 1 settembre 2009

Cime di Bàres, mt. 1820 ca.

non so se le forme pervertono il silenzio

come lo fanno gli attraversamenti dei percorsi,

i sentieri e i loro accumuli di passi;


qui è una sospensione tornante di rocce

passate per i corridoi dei piedi; dicono

di postazioni collassate, di tracce identiche

a quel buio che una volta ha divelto le pietraie;


si percorre la costa tesa dalle piogge, nella conca

consumata dal viaggio che è ancora quello di ieri,

ripreso da verità indenni, da coalescenze

di frammenti nel processo che puntella ogni vallata:


è proprio qui che un dio ha digrignato il suo vuoto,

proteso alle foschie di Bàres, a lambire la distesa

fino a quando è rosso e si scollina; una striscia

uguale a queste pietre per poi sparire, sparire…

4 commenti:

  1. Si tratta, più che di un intervento progettato, di un effetto collaterale dovuto alle tre settimane passate in (quasi) assoluta solitudine.
    Spero possa essere apprezzato, comunque.

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  2. lo è. Pare che la tua scrittura abbia trovato una certa regolarità scabra, raboniana. La densità lingustica dell'ultima strofa merita un plauso - phlebas

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  3. Pare tu stia calcando altri sentieri. Analoghi, uguali e contrari, certamente interrotti. Io credo che questo sia, non so, una specie di filo di Arianna. Una scia silicea fino al cuore della terra.
    Anche io ho apprezzato, in particolare, l'ultima strofa. Questo dio che digrigna il suo vuoto... Come un vizio assurdo, un tic. Ma già trascorso.

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