sabato 26 settembre 2009

Call me Ishmael

“Gather'd in shoals immense, like floating islands”

Che le balene volino non è certo un mistero. Che somiglino ai dirigibili, nemmeno. Il ventre imbottito di elio, le atmosfere, l'alluminio: in una balena tutto, davvero tutto fa pensare a un dirigibile. Perciò le balene galleggiano sulle nostre teste - ma come gabbiani, portate dal vento, senza muovere un muscolo. Planano dalla ionosfera fino al nostro cielo, così basso, e vengono per noi. E noi a vederle piangiamo a dirotto, perché ci sembrano la pace.
Ma ciò che più ci intenerisce è la loro sbalorditiva somiglianza ai morti. E non mi riferisco solo alla coda, o alla pinne, ma a questa mania di spiaggiarsi, di finire il fiato. Così, oggi, nessuno saprebbe distinguere il canto di una megattera da quello di un morto.
Non è un caso, infatti, che gli antenati delle balene fossero mammiferi, e che venissero sulla terra per partorire. Alcuni cuccioli scavarono tunnel fino al centro della terra, e col tempo divennero placche tettoniche. Altri restarono sulle rive, ed ora sono scogli. Noi stessi siamo i discendenti dei primi cetacei, sfuggiti al riflusso delle acque, alle cieche mosse delle testuggini avviate al mare. Non siamo enormi, è vero, ma siamo stanchi, e la stanchezza è un esito dell'enormità.

Le balene sono, si capisce, animali acquatici. Le spugne cicliche che emergono con uno scoppio, un risucchio verticale. Una parabola, un monito: “noi abbiamo portato l'acqua sulla terra; e cosa possiamo sperare se non che evapori?”. Il Vangelo secondo Moby Dick.
Per noi uomini una balena può essere Avalon o Atlantide, indifferentemente. In ogni caso un'isola, un continente primordiale e immacolato, la placenta sciolta della Pangea. Un capodoglio che si morde la coda. Un eterno ritorno impacciato, l'esatta forma del cosmo.
Quel che importa davvero delle balene, comunque, non è il nome. (Questo vale, invece, per i gatti). Quel che importa è che su di loro grava il silenzio immane del sangue. Sono creature agoniche, stremate da una tenerezza terminale. Tutti gli uomini muoiono in un solo modo: di morte. Le balene, invece, muoiono di peso. Per questo precipiteremo tutti - o, se preferite, coleremo a picco: per il loro peso, in bilico tra gli oceani e i nostri tetti. Una curiosa “fedeltà alla terra”, un tributo alla gravità, la grancassa sfondata degli inizi. L'addome liquido di Dagon, dagli abissi. Tutto è vanità e un rincorrere il vento, certo, ma l'ago della bilancia trema ancora. E sui piatti non troviamo un soffio nel dio, ma un peso di balena, il tracollo delle acque. Le sacche del diluvio pronte a esplodere, l'eredità dei nostri padri che precipita il perdono e ci scorta con la sua mole smisurata, ci tende la sua pinna caudale. Il Leviatano addomesticato.

Infine: è plausibile che le balene si radunino sulla luna con una certa frequenza, assieme a tutti gli altri oggetti. Dall'Oceano Pacifico al Mare della Tranquillità, in un tonfo di sonno. E così spieghiamo le maree: quando le balene nuotano sulla luna le acque si ritirano, per poi alzarsi al loro ritorno.
Per questo motivo le balene sono davvero palloni aerostatici, mongolfiere lunari, palpebre allagate di stanchezza. E si fanno carico del nostro sonno. Poiché il sonno di una balena è sempre spaiato, sacrificato ai polmoni, al respiro volontario. Una veglia inesausta, lo stillicidio dei sommersi. Giacchè nel sonno non c'è peso. Come nel mare, come sulla luna.

Questo, signori, è quanto ho visto delle balene, almeno per oggi. Come direbbe il buon Claudio, nessuno ha mai visto una balena, perché nessuno ha occhi abbastanza grandi. Già Agostino, d'altronde, ha spiegato quanto sia vano tentare di mettere una balena intera in una buca. E noi, nelle nostre credenze, non abbiamo che cucchiaini. Buoni per il thè, per lo zucchero e i dosaggi.
A noi resta la consolazione che, fino a quando esisteranno animali immensi, avremo un'ombra sotto cui nasconderci, un rifugio.
Anche se ora non sembra. Anche se ora, nonostante le balene e i dinosauri e gli elefanti, siamo solo brutti, e moriamo di sete.
Anche se domani – lo sappiamo bene - è il peggior domani di oggi.

3 commenti:

  1. critici letterari esperti e dal naso possente direbbero che il suo stile è banale ma per quanto mi riguarda l'allodola sanremese dona sempre bei momenti di letteratura vissuta che vanno oltre... o meglio, giù, giù verso l'abisso e con le balene e i pangasi danzano, danzano immobili sui fondali. quanti tesori, sui fondali? quante salme, sui fondali?

    non lo sapremo mai ma, come direbbe il buon claudio, "mia dia una mano ad alzarmi, la prego."

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  2. Il pangasio è un pesce disumano, ecco cosa.

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  3. Questo è quello che si dice un messaggio dall'Imperatore, inseguito lungo le correnti oceaniche. Le balene sono così grandi, è vero, che pare non sia mai parlato d'altro. Certo sono più grandi della langue, della parole, immensamente più grandi del senso.

    D'altra parte, se vogliamo ancora sbattere i piedi palmati oltre il precipizio degli scogli, sono convinto che questa sia la cosa migliore che tu abbia mai scritto, amico mio. La tua cifra. Questa è delicato crollo, forse un ultimo lembo calviniano, l'ultima chiamata a dire del mondo come si fa il mondo. Città invisibili, balene invisibili, lo Spirito di Dio aleggiava sulle acque, ed era cieco.

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