giovedì 27 gennaio 2011

Nicole

Aveva deciso che tutte le sue foto del profilo facebook sarebbero state scattate durante una scopata.

Chiaramente il gioco prevedeva l’implicito e il segreto: un primissimo piano della sua faccia non sarebbe stata informazione sufficiente per nessuno, esclusi i presenti.

I presenti erano anch’essi selezionati tramite un criterio di riservatezza: sconosciuti aggiunti chissà come, zero amici in comune (escludendo locali, squadre di calcio, vip e altre cose che non esistono), totalmente estranei al corpus di conoscenze che fondava la regolare socialità di Nicole.

Tuttavia non è difficile capire che una notizia un po’ originale non ha bisogno di alcun giornale e se c’è facebook tanto meglio. Rimane quindi il dubbio che i fatti seguenti fossero stati già ampiamente previsti da Nicole stessa e che l’implicito e il segreto occultassero qualcosa di più implicito e segreto come la deliberata volontà di essere sputtanata.

Un maschio protagonista di un fatto simile invierà a circa il 100% dei suoi contatti maschili la foto che ritrae il frutto delle sue azioni. Forse anche a buona parte dei contatti femminili. A loro volta, molti dei contattati, sebbene del tutto estranei ai fatti, riterranno abbastanza scandalosa la notizia da diffonderla ulteriormente. Fu così che, dopo due soli cambi di immagine del profilo, Nicole vide tornare il torrente di gossip sotto forma di pagine da condividere. Tutte portavano la sua foto, la prima: gli occhi sgranati e la bocca dilatata in qualcosa a metà strada tra un sorriso e un urlo (potrebbe essere confusa con la smorfia standard che si fa alle feste), i testi cambiavano, uno diceva “Per chi vorrebbe scattarle una foto…. condividi se sai perché….. ahauhauahuahauha…..”, un altro più diretto “Ci facciamo una foto???” e uno proprio descrittivo “Questa ragazza è stata fotografata mentre faceva sesso!!!!”.

A questo punto potremmo aspettarci una reazione tragica: un ultimo set di foto con le vene tagliate e un articolo di cronaca nera sociologico sul mondo dei giovani nel quotidiano dell’indomani. Non andò così. Nicole continuò per la sua strada, che ora esisteva, collezionò almeno un’altra dozzina di foto del profilo e dribblò quattro o cinque proposte di produttori pornografici; agli amici diceva che stava bene.

Oggi Nicole è leader di un gruppo alternative rock, scrive per due fanzine di musica e cultura pop e le piacciono tanto gli animali. Nell’ultimo post sul blog dice che le mattonelle rosate delle stazioni metropolitane riducono l’immaginazione ad una partita a scacchi, un arrocco della fantasia.

Non sappiamo se crederle.

Difficile credere d'essere mai stato quel giovane imbecille.

"[...] NASTRO (voce forte, piuttosto solenne, evidentemente la voce dello stesso Krapp a un'epoca molto anteriore) Trentanove anni, oggi, sano come un... (Krapp, mentre cerca una posizione più comoda, fa cadere dal tavolo una delle scatole e il registro, riporta il nastro alla posizione di partenza, rimette in moto, riprende la posizione di prima). Trentanove anni, oggi, sano come un pesce, a parte la mia vecchia debolezza, e intellettualmente ho adesso ogni motivo di credere sulla... (esita)... cresta dell'onda... o da quelle parti. Celebrata l'orrenda ricorrenza, come sempre in questi ultimi anni, tranquillamente, alla Taverna. Non un'anima. Rimasto a sedere davanti al fuoco con gli occhi chiusi, a separare il grano dalla pula. Buttata giù qualche annotazione sul rovescio di una busta. Felice di essere di nuovo nella mia tana, nei miei vecchi stracci. Appena mangiato, mi spiace dirlo, tre banane, e solo con difficoltà mi sono astenuto da una quarta. Micidiale per un uomo nel mio stato. (Veemente) Devo eliminarle! (Pausa). La nuova luce sopra il tavolo è un miglioramente notevole. Con tutto questo buio che mi circonda, mi sento meno solo. (Pausa). In un certo senso. (Pausa). Mi piace alzarmi ogni tanto e andarci a fare un giretto per poi tornare qui da... (esita)... me. (Pausa). Krapp. (Pausa). Il grano, vediamo, che intendo dire con questa parola, intendo dire... (esita)... probabilmente intendo dire quelle cose che val la pena di avere quando tutta la polvere si sia... quando tutta la mia polvere si sia depositata. Chiudo gli occhi e cerco di immaginarmele. (Pausa. Krapp chiude brevemente gli occhi). Un silenzio straordinario, questa sera, tendo l'orecchio e non sento il più piccolo suono. La vecchia signorina McGlome canta sempre, a quest'ora. Ma non stasera. Canzoni della sua giovinezza, dice lei. Difficile immaginarsela ragazza. Una vecchia straordinaria, però. Del Connaught, credo. (Pausa). Canterò anch'io quando avrò la sua età, se mai ci arrivo? No. (Pausa). Cantavo da ragazzo? No. (Pausa). Appena risentito una vecchia annata, brani a caso. Non ho controllato sul registro, ma saranno almeno dieci o dodici anni fa. A quell'epoca vivevo ancora, più o meno, con Bianca, in Kedar Street. Ne sono uscito, da quella storia, grazie a Dio! Non c'era niente da fare. (Pausa). Non ho molto su di lei, tranne un omaggio ai suoi occhi. Molto caloroso. Li ho rivisti di colpo. (Pausa). Incomparabili! (Pausa). Insomma... (Pausa). Queste vecchie riesumazioni sono lugubri, ma spesso mi sono... (Krapp ferma il registratore, medita, lo rimette in moto)... d'aiuto prima di imbarcarmi in un una nuova... (esita)... retrospettiva. Difficile credere d'essere mai stato quel giovane imbecille. La voce! Gesù! E le aspirazioni! (Breve risata cui Krapp fa eco). E le risoluzioni! (Come sopra). Quella del bere meno, soprattutto. (Breve risata del solo Krapp). Statistiche. Ben millesettecento ore, sulle precedenti ottomila e rotti, consumate in locali autorizzati alla vendita di alcolici. Più del venti per cento, ossia il quaranta per cento della sua vita da sveglio. (Pausa). Progetti per una vita sessuale meno... (esita)... impegnativa. Ultima malattia di suo padre. Ricerca sempre meno convinta della felicità. Nessun successo coi lassativi. Sberleffi a ciò che chiama la sua giovinezza e ringraziamenti a Dio che sia finita. (Pausa). Qui, una nota falsa. (Pausa). Ombra dell'opus... magnum. In chiusura un... (breve risata)... latrato alla Provvidenza. (Lunga risata cui Krapp fa eco). Che cosa resta di tutto quel dolore? Una ragazza in un logoro cappotto verde sulla banchina di una stazione? No? (Pausa). Quando guardo... [...]"



Samuel Beckett, L'ultimo nastro di Krapp.

lunedì 17 gennaio 2011

Synephebi

Un pittore può non sapere cosa non vuole. Ma guai se vuole sapere cosa vuole! Un pittore è perduto se trova sè stesso.
Max Ernst


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Detective Pennington era un pinguino e una lente d'ingrandimento che si facevano compagnia.
Così come aveva rotto lo scheletro della vita, Pennington dedicò il resto della sua lenta morte di pinguino alla lotta contro il crimine.
Il sogno di Pennington era risolvere il Caso (che come tutti sanno è amico di Schopenhauer e nemico del cielo).

Il giorno dopo quello in cui sognò, per Caso qualcuno uccise una nuvola. E Pennington si dette all'indagine, che era un'indagine retrograda, perchè Pennington camminava all'indietro come i gamberi.

Dal grande lago partivano molte piste e altrettanti scivoli e, benchè Pennington, camminando all'indietro, le vedesse terminare anzichè partire, esso scelse comunque di partire da quella più promettente: il mare. Il mare, si, perchè il mare è sempre stato invidioso del cielo.
Tuttavia stavolta il suo latitante pareva non avere abbastanza belle le pinne per imprimersi nei pettegolezzi delle maree. Nel mentre che l'alacre pinguino si dava da fare con la sua lente d'ingrandimento, l'assassino uccise un'altra nuvola.
Allora il Popolo delle Nuvole riversò sul Polo Sud una micidiale ed incessante nevicata.
Tutti i pinguini emigrarono via. Rimase solo Pennington, quindi un cappellino da Sherlock Holmes, una lente e un colpevole sconosciuto.
-Se non è l'acqua, sarà il ghiaccio-
Il detective Pennington si avviò dunque sulla sua pista, senza perdere mai di vista le impronte che gli camminavano davanti agli occhi. E le impronte dirigevano verso il centro del continente.
E nessuno lo rivide più.

Passò più di una volta sullo stesso lago: per ogni orma Pennington faceva un passo, ma più andava avanti (quindi indietro), più si convinceva che la misura del passo è l'infinito.
Pennington sapeva di aver scelto la pista giusta; però Pennington non sapeva che lo erano tutte, perchè tutti i pinguini hanno le stesse zampe.
Quello che ha visto il grande lago sono cinque becchi di Pennington rivolti verso il cielo, quindi verso la neve, che è cielo sbriciolato (i pinguini, infatti, si riconoscono dal becco).
Molto tempo dopo, stanco ed affaticato, benchè non sapesse chi fosse l'assassino, ora sapeva che era sicuramente un pinguino -perchè è troppo diabolico per essere un altro animale e perchè lascia impronte da pinguino-
Era molto stanco, appunto: si sedette a terra ed accese un sigaro. Ma, aimè, era il Sigaro della Lucidità.
Pennington guardò le sue zampe, e poi le (sue) orme. E un pinguino e una lente d'ingrandimento compresero che le prime appartenevano alle seconde.
Per la vergogna Pennington si intirizzì. La neve ne fece un cubetto di ghiaccio.
E di nuovo non se ne seppe più nulla.

Il latitante, sentendosi finalmente libero di portare il vento ovunque volesse, ad una ad una, poco alla volta sterminò tutte le nuvole. Passati mille anni, al mondo non esistevano più nuvole.
Tra l'alto deserto azzurro e il basso deserto verde, precisamente attorno a Pennington, il sole a picco iniziò a sciogliere il ghiaccio.
-Se non è il ghiaccio, sarà l'acqua-
si disse il pinguino, che cominciava a pensare. Dopo si scongelò anche la lente, e allora fu il momento che Pennington pensò:
-Non ci sono pinguini senza ghiaccio. Se non esistono altri pinguini, al mondo c'è solo Pennington-
Ma la lente non si era ancora scongelata del tutto! Mancava ancora il detective. Dopo un poco arrivò il detective Pennington che doveva chiudere il suo caso, perchè se il Caso non si chiude entrano gli spifferi.
-Bisogna chiudere il Caso! ci vuole un colpevole-
Chiamò i pesci, tuttavi i pesci non gli risposero perchè non capivano la sua lingua, poi cercò gli uccelli, ma il fuorilegge li aveva messi tutti controsole.
-Se c'è solo Pennington, il colpevole è Pennington.-
Sul becco gli schioccò il guizzo della soddisfazione. E ripensò alle orme.
-il colpevole sono io! allora non mi ero sbagliato. Ti ho sconfitto genio del crimine. E ora..al fresco!-
Ma fortunatamente Pennington al fresco c'era di già, ed adesso con più bramosia di prima, non desiderava altro che essere scagionato dal suo cubetto di ghiaccio.
E però stavolta davvero non si rivide mai più: d'altronde senza ghiaccio, non ci sono pinguini.

giovedì 6 gennaio 2011

Benedizione del legamento

Anche questo sonno mescola le ossa, sceglie il centimetro, la statura
dell'amnesia. Tutto è esposto
alla trazione invisibile, il fiato corto degli dei
che inalano il soffitto. A nulla vale l'agilità del telaio,
la parola al carbonio, l'acqua
senza mediazioni, nel prodigio. (Qui la fine
è una funzione del tessuto, procede dall'amido).

Dunque molte cose sono un'esplosione, più le altre
che arrivano in barella
nello spazio di un taglio. Perciò della tosse credo
più della scossa: invece raduna il buio, la sillaba
dell'infortunio. Svegliarsi allora
è medicare la stanza, sbucare nel secolo.

Più alto l'incarico: tutto accade così fuori – tutto, intendo, rasoterra
in perfetta aderenza, la frizione anatomica
-
non possiamo che ricevere i feriti
dove avviene l'origine e tende
a non scomparire, ma anzi a precisare la cura

questa casa ha un decorso, una condotta clinica.

martedì 4 gennaio 2011

L'uomo che passeggiava è morto, egli era il nostro peccato.

C'era una volta un uomo che passeggiava, un giorno smise di passeggiare. Le persone che erano solite vederlo andare avanti e indietro per la strada si chiesero questi che fine avesse fatto ma l'uomo che passeggiava, non passeggiando più, nessuno sapeva dove potere andare a trovarlo per poi chiedergli notizie.
Le cose rimasero così come stavano e presto la storia dell'uomo che passeggiava divenne leggenda, in molti scrissero molto su di lui ma a noi piace pensare che sia tornato a passeggiare quando tutti, in vece del suo viso, non ebbero a ricordare altro che il suo mito.



Ciao dolce Ciclamino, non ti dimenticheremo mai.

Ora sei lassù, nel cielo con Gesù,
Ora non sei più, amara morte fu.

dea su selz

Come la calza che si smaglia, soppesi e fingi che tutto
si risani – la calce tirava la pelle fino al limite – e quasi
stai per salpare, anche se ora sali sul plesso dei nostri mille
muscoli ritesi, con la tua lacca per capelli che ne limerà
il palmo mentre risali ad Algeri – non sono stato sotto
nessuno e non ho mai giurato ma ti sento ancora simile
a qualcosa che irradia, come se mi avessero stretto attorno
delle bende – se tutti sapessero di questa pegasea binaria,
della figura di un argine in cui siamo naufragati – copiare
questo per iscritto sotto ipnosi non è scambio sinaptico
annunciato, ma incrocio di uno starci, di un resistere
precoce alla prosternazione – non è ancora tempo del trillo
a cui piegarsi, ma si corre a strisce, a scapito delle mani –
rimani tu per ora, rasserenante sboccio di borgata, unisci
e mi consoli come quando calerà scorrendo il gas dai tubi
e nei bienni a venire ti anniderai corsara in burqa correndo
nel mio cranio per tutto un tempo rischioso, indecifrabile.

[...]