giovedì 30 dicembre 2010

Lunga storia del mitile ignoto

La cozza è universalmente nota come.
Sebbene ciò non riveli niente quanto alla cozza, il concetto cozza con l'idea. Bene.

Spargeva il sale sul mare a metà inverno, come molte altre cozze, per commuovere il freddo.
D'altra parte meglio un'ostrica oggi che una lastra domani. Questo perchè, notoriamente, sotto la lastra la capra crepa.
Come moltre altre onde, slitta per non capitombolare, chiudere il capitolo di violenza per riaprirne un altro a ferro e fuoco poco più là.
Ma altre cose, pensa tra sè (come molti altri), bollono in pentola. Oltre alla cozza.
Sebbene la pentola rappresenti il destino del mitile paradigmaticamente accettato dalla comunità scientifica, non possiamo dire con certezza che al termine della loro esperienza terrena i molluschi non ascendano ad un più altro ordine di significato. E questo si può dire di loro come per molti altri.
Si sa, tuttavia, che il tempo esercita la rovina, il vino l'acqua, la birra la spina. Come le cozze fa molto male se accidentalmente la si calpesta con uno o entrambi i piedi.
Ciò nonostante i medici suggeriscono di non prendere freddo (scozzigliano sic) e di prestare attenzione alla natura dei vertebrati. Giacchè c'è molta speranza, ma ancor più paranza.
Per cui non si è cozza per convenzione: se ricoperti di onori lo si è per menzione, se ricoperti di odori, per ordinazione.
Niente ghiaccio. Vivremo giusto fino ai cento gradi. Perfino cento, li vogliono, e fanno i bei tenebrosi. Quando, proprio come molti altri, non solo fanno i tipi coriacei, ma nemmeno sono belli.
(senza alcun riferimento speficico. Non a caso spezziamo una plancia al mitile ignoto)

martedì 28 dicembre 2010

Il ponte di Eraclito

a spasso per l'eterno contorno.

Gira voce nelle città degli umani che Eraclito fosse stato, se non un uomo triste, almeno un filosofo triste.
Questa fama lo ha rivestito al punto che non ci si chiede più se Eraclito fosse o non fosse stato così e così, se avesse preferito pollo o spigola, mentre invece, laggiù gli uomini gli hanno dedicato un ponte.
Al di sotto dicono che stiano le lacrime di Eraclito, al di sopra dicono che vi stiano le loro. Nel mezzo i piccioni.
Dal ponte di Eraclito non si può passare, il che se ci pensa è un paradosso, ma fortunatamente non ci pensa nessuno, tranne i piccioni. Metà ponte è per quelli che camminano, l'altra metà per quelli che nuotano, dunque per i riflessi di quelli che camminano. I piccioni, esclusi, per questo si erano molto offesi e decisero che un uomo era qualcosa in meno di un piccione.
Urbani ed eleganti, un paio di piccioni muovendo la testolina avanti e indietro si complimentavano tra di loro per come quel pomeriggio gli alberi dondolassero così bene avanti e indietro. Uno di loro volle parlare dell'amico malato, che come tutti i piccioni malati, con le zampe aveva perso il senno e, confinato in un angoletto del ponte solo solo, con il piumaggio struffato, cercava inutilmente di persuadere tutti i piccioni che vedeva del fatto che le cose erano immobili.
Gli amici risero molto di questo fatto, sempre con piccioni diversi, perchè ogni volta che un piccione oscilla la testolina non trova più il piccione di prima. E' sempre un piccione più avanti, o uno più indietro.
A dispetto di quanto si pensi, i piccioni non possono affatto innamorarsi.
Quando gli tornava in mente questo fatto si rattristavano di colpo e se ne ritornavano al ponte di Eraclito, dove se non aspettava loro l'amore, li aspettava l'acqua.
E tutte le volte, con il tramonto finiva la tristezza che tuttavia era un'angoscia ancora piena di sole, ed iniziavano a piangere sul fiume e sulla luna, ma sempre su un fiume ed una luna diversi.
Confondevano le lacrime con l'acqua. Un piccione non si farebbe mai veder spargere lacrime da un uomo.
Quando un piccolo piccione chiede chi sia mai stato questo Eraclito gli viene appunto risposto che era stato un uomo, e che dunque sicuramente non ha mai detto nulla di intelligente, o anche ammesso che lo abbia fatto, nulla che possa riguardare i piccioni.

stare mare

Tornado e Tempesta si trascinano per i portici fieri dei loro soprannomi.

Tornado è alto un metro e settantotto centimetri, dalla mamma ha ereditato lineamenti molto delicati e dal papà occhi molto convenzionali. Veste un solo colore per volta.Tempesta è bassa e magra, non ha ereditato nulla dai genitori e, se pure fosse, se lo è già tinto diverse volte. La faccia cattiva di Tornado, quella che lo rende rispettato cioè che gli garantisce il suo soprannome, prende forma in un’estrema rilassatezza del volto che induce i pesci piccoli a ritrattare scherzosamente quello che hanno appena affermato e i pesci medi a riportare dignitosamente la conversazione su un piano più adulto. I pesci grandi lo conoscono. Tempesta conosce solo l’insulto, le minacce e le botte.

Il rapporto che li lega trae forza dalla sua indefinibilità. Sì, sono stati insieme i primi anni del liceo, poi si sono lasciati, si sono rimessi insieme per poi lasciarsi ancora. Ora fanno sesso sporadicamente, alcuni li chiamano “migliori amici”. Non so se esista un solo esempio di quella coppia aperta fantasticata dai teorici della libertà sessuale, quel tipo di rapporto dove gelosia e possesso sono pallidi ricordi del patriarcato e l’accoppiamento un gioco come un altro che ammette preferenze ma non esclusività; se esiste non è questo il caso. Tutti ricordano le apparizioni spettrali dell’estrema rilassatezza facciale di Tornado, tra le luci intermittenti del BlackOutRockClub, vorticare attorno al corpo danzante di Tempesta, sabato scorso verso l’una e mezza, le due. Solo Martina invece ricorda il calcio che le è arrivato da sotto il tavolo quando due giorni fa, alla riunione del collettivo, ha fatto un’allusione di troppo sulla contraddittorietà che i tipi tranquilli come Tornado esprimerebbero al letto.

Vongola saltella nervoso per i portici in direzione identica e verso contrario a Tornado e Tempesta. Esistono cinque storie sull’origine del suo soprannome, due sicuramente false, due parzialmente vere e una così assurda da far sballare anche la logica fuzzy. Avete presente l’imbarazzo quando scendete alla stessa fermata di una ragazza e prendete la stessa strada, con lei che si gira nervosamente affrettando il passo e voi che tentate di fare la faccia più innocua e svagata di cui siete capaci ma che a lei sembra solo perversamente ipnotizzata sulla visione allucinatoria di un futuro crimine sessuale? Vongola si sente così con tutte le persone, in tutte le situazioni. Ha capito di non fare paura a nessuno e per questo ha paura di tutti.

La comitiva che frequenta lo ha mandato a saldare un buffo con uno spaccino testa di cazzo, gli hanno dato una serie di ordini comportamentali contraddittori sperando che faccia qualche stronzata e venga devastato di botte. Un po’ per avere un pretesto per chiudere i rapporti con lo spaccino testa di cazzo, un po’ per le botte in sé. L’ultima volta che Vongola ha avuto a che fare anche con gli elementi più gerarchicamente inesistenti della criminalità organizzata si è trovato a reinventare il suo intero albero genealogico per escludere ogni parentela con le forze dell’ordine.

Quando Vongola entra nel campo visivo di Tornado e Tempesta, Tempesta dice “C’è mio fratello, attraversiamo”. Quando Vongola nota Tornado e Tempesta che si muovono come gamberi verso la strada, cerca l’espressione più adatta per salutarli ma l’unica cosa che riesce a dire è “LA MACCHINA!”, salvando dalla morte (o forse dall’ospedale) i due distratti fuggiaschi che, per assicurarsi di fare in tempo, avevano tenuto gli occhi incollati sul ripugnante ma provvidenziale Vongola, muovendosi verso la strada come gamberi.

In questi momenti Tempesta pensa che le persone deboli e penose come suo fratello siano state ricompensate in qualche modo da Dio che, come in un gioco di ruolo, non può creare personaggi quantitativamente inferiori ad altri, ma solo distribuire in maniera diversa i punti nelle varie qualità disponibili. Allora Vongola avrebbe un cuore pieno di bontà ma povero di coraggio, una straripante empatia per tutte le creature del mondo e una beffarda incapacità a relazionarcisi come cristo comanda. Ma in questi momenti Tempesta sa bene di teorizzare cazzate. Lei sa che il soprannome del fratello deriva dai drammatici siparietti di agonia mollusca che metteva in scena prima di strappare gli esserini, ormai (purtroppo per lui) morti, dalla loro conchiglia natale.

Tuttavia in questi momenti Vongola si sente il cuore pieno di bontà e tutt’altro che povero di coraggio al punto da riuscire a chiedere un favore personale abbassando gli occhi solo un paio di volte.

Ora lo spaccino testa di cazzo se la vedrà con Tornado.

giovedì 16 dicembre 2010

Coollage

La abbiamo scritta così:
- la abbiamo scritta io e kyuss
- la abbiamo scritta 5 versi per uno, kyuss è più veloce di me, si alzava e tornava e io dovevo ancora iniziare
- non ero tanto capace
- 5 versi per uno significa 2 blocchi-monadi-moloch da 5 versi. poi la compenetrazione, un blocco nell'altro. abbiamo innestato i versi dove ci sembrava più opportuno, con i dovuti aggiustamenti. non mi sono spiegato bene.
- 2 versi jolly, creati nel momento della FUSIONE, per legare cose che evidentemente non c'entravano un cazzo l'una con l'altra
- non è vero, un po' c'entravano
- la cecità è percorrere la vista a ritroso
- venere di MILOS

Ciao. Tanto lo so che non ci siete, tranne Imago. A proposito: attendiamo con ansia, qui, maggiori dettagli sul fuoco dell'araldica.
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L'occhio governa l'attrito, dispone il corpo
in sezioni globulari, angoli sfocati, posture
della schiena – sembra quasi vedere
cioè piegare, mutare le parentesi al volume.
Che il freddo lo si spacchi fino al posto
della radice, o al cuneo esponenziale
di una seduta interminabile, altra
è la natura della resezione; in luogo
dello scontro, la sfera. Chi scrive
si sdraia sulla bocca: per tutto ci sono
capsule di secessione, notizie della luce.
Applicare l'occhio senza che sia adesivo,
ma al contrario il mondo, la guarnizione elastica
vergine e cruda come scogliera, per il solco delle maestranze