venerdì 30 ottobre 2009

La ragione sufficiente per la quale Candide e Cunegonda stanno tre metri sopra il cielo.

So di sfondare portoni aperti ma una piccola riflessione sul migliore dei mondi possibili non potrei di certo negarmela.
Partiamo dalla tesi A ovvero: “le mie basi filosofiche per poter parlare dell’Illuminismo sono pari a quelle di un buon selvaggio” (che sia stato dotato dalla Natura di notevoli deficienze mentali però). Applichiamo l’antitesi B ovvero: “Sto cercando di recuperare studiandolo nel migliore dei mo(N)di possibili”. Arriviamo alla sintesi?
Ehm…no, la sintesi a Cartesio e i suoi fratelli era cosa sconosciuta, impensabile, e quindi ci teniamo tesi e antitesi e se qualcuno vuol ribaltare quest’ultima (vi sfido!) si accomodi pure.
Detto ciò, che, in fondo poi, è come non aver detto niente, c’è sempre qualcosa di molto divertente come il Candide che permette anche un po’ di lirismo originariamente inteso, quindi, perdonate la parentesi in prima persona dell’incipit ma è necessaria premessa e autodafé non richiesto.


L’evidenza delle posizioni di Voltaire, mi perdonino i Leibniziani presenti e assenti, non può che essere condivisibile per cui una riflessione su questo ipotetico migliore dei mondi possibili mi parrebbe inutile. Una soluzione sarebbe quella di giocare, d’azzardo s’intende, a dare per scontato e per assurdo che possa avere ragione. Giochiamo, dunque, al gioco dell'Arouet ma nell’anno domini MMIX e analizziamone empiricamente ragione sufficiente, cause ed effetti.
Pangloss, e non ditemi che non ne avete mai conosciuto uno se no meritereste di finire insaccati in un sanbenito, impiccati per sopravvivere e finire su una galera, direbbe che ad ogni causa corrisponde un effetto, ebbene, questa è un’ipotesi risibilissima.
Vorreste dirmi, dunque, qual è la causa per la quale esiste nell’editoria italiana qualche scellerato che continua a propinarci mensilmente, neanche fosse un ciclo lunare, delle nefandezze orripilanti?
Non vorrei leggere domani una risposta tipo: “il denaro”, quello sarebbe né più né meno che un effetto.
Appaiono certe cose che, a dirle, si ha l’imbarazzante sensazione di sparare sulla croce rossa ma, empiricamente, ce le ritroviamo alla “M” nello scaffale letteratura italiana a meno che qualche libraio di buon cuore non abbia avuto la decenza di spostarle fuori dalla porta e farle marcire lì in un collo di cartone insieme ad un cartello con disegnato un cane e con su scritto “se sono buono posso entrare, se sono lettore di Moccia e di Coehlo no”.
E sì, alla “M” c’è un orrore di tal fatta che, a confronto, le vicissitudini del buon Candide non sono altro che un parco dei divertimenti e in fondo anche noi, come lui, se abbiamo avuto la fortuna di schivare in blocco lo scaffale degli Oscar Mondadori, classici esclusi, ci sentiamo veramente dietro al velo con la Cunegonda ad esplorare la ragione sufficiente che ci ha spinti, deo gratias, a varcare la soglia del libraio di fiducia.
In questa beatitudine non sarà certo il barone Thunder- ten- tronck a espellerci scalciando stile mulo sul nostro scientissimo deretano ma noi stessi ci autocalceremmo, potendo, non appena, mentre di fronte ai Feltrinelli decidiamo se questo Mishima e i suoi Forbidden Colours potrebbero far smettere di brontolare il nostro stomaco che già pregusta un pasto di lettere allineate in modo decente, scorgeremo lì a fianco l’incredibile scritta 3msc e ci accorgeremo con costernazione che non si tratta di una crociera nei mari del Giappone.
Ora, nel migliore dei mondi possibili non vedo la ragione sufficiente per la quale si debba dare spazio a certa ottusità e, mi ripeto, il nome Moccia è solo l’esempio lampante della peggiore delle ipotesi, ma c’è molto altro che meriterebbe signori miei e non faccio nomi perché ho paura di finire tra le mani del Re dei Gesuiti e non vorrei trovarmi nella situazione di doverlo uccidere benché mio cognato.
Visto come la ragione sufficiente non arriva neanche alla mediocrità e la causa è sconosciuta, l’effetto è che il mondo intorno a noi diventa lungi dall’essere non solo quello migliore possibile ma neanche uno lontanamente accettabile, soprattutto quando la ragazzina a fianco a noi allunga il braccio, afferra la maleodorante copertina azzurra e scappa correndo verso la cassa, non sia mai che le si attacchi un Dostoevskij addosso, azzannandola.

Quindi è il caso che opera per vie a noi ignote, il caso e la casualità come motore del mondo e del libro stampato e su questo, perdonatemi, ho una mia teoria del tutto slegata dalla civiltà dei Lumi e dalla sua opprimente razionalità.
Si tratta della nuova politica di assunzione degli editori nostrani che bada al risparmio e ha comprato da Cocomo una partita di schiavi della tribù degli Orecchioni in cambio di un montone rosso. Ora, come si sa, gli Orecchioni ascoltano molto bene, ma, a causa quella loro brutta abitudine di accoppiarsi con le scimmie, sono totalmente analfabeti, anche se non a livello della maggior parte dei laureati in lettere negli ultimi anni, e quindi scelgono i libri da pubblicare con l’olfatto: se il libro odora di ferormoni di adolescente passa, se no si butta nella pira funebre dell’esercito dei bulgari. Altre volte uno di loro, bendato, in un gioco simile alla tombola, estrae manoscritti da un pallottoliere ed è qui che ha la preponderanza il caso.
Non venga a bussare in casa mia Martino a darmi ragione poi, che anche a lui ne avrei e molto da dire, niente prediche da un manicheo fuoritempo che crede al bene e al male assoluti, a dire il vero soprattutto a quest’ultimo, potrei avere un attacco di incontrollabile isteria.
Il male assoluto non esiste perché ogni tanto qualcuno estrae dal bussolotto la ripubblicazione di Landolfi, Bene e Pasolini e questo è quanto.


Poi c’è quella catenaccia del libero arbitrio che costringerebbe a giustificare con la scusa dell'autocoscienza questa oscenità, anche se, volendo, potrei imbragarlo punto per punto col metodo cartesiano. Detto ciò, però, l’avvocato Pococurante ne verrebbe fuori con un sonoro: “che noia” e io con lui, si aggiunga, inoltre che io sono una Romantica dell’Ottocento e l’Illuminismo me lo sono levata via dalle scarpe sullo zerbino della Storia non molto tempo fa.
L’unica cosa che ci resta, dopo tanto celiare senza ragione, è la Necessità, quella di vivere riparati e “coltivare il nostro orticello” la rassegnazione alla nefandezza del mondo che uno migliore è possibile, forse, ma non c’è. O no?

sabato 24 ottobre 2009

L'immagine del mondo nella testa

[...] Per quali motivi alcuni suoni simili al linguaggio abbiano una valenza estetica del tutto indipendente dal loro significato non è noto. Si potrebbe supporre che essi richiamino memorie geneticamente tramandate da tempi lontanissimi, quando noi (o meglio, i nostri progenitori scimmieschi) non avevano ancora a disposizione un linguaggio umano e potevano comprendersi soltanto con l'aiuto di un ristretto repertorio innato di grugniti, scocchi di lingua, fischi, ecc., come le scimmie antropomorfe fanno ancora oggi. Varrebbe la pena di indagare fino a che punto la fonetica delle parole amorose si rifà a tali suoni scimmieschi.

[...] Tuttavia è possibile ipotizzare un significato più antico , se si considerano le parti della superficie corporea dove la sensibilità al solletico è maggiore, cioè sotto le ascelle, a lato del petto, sul ventre, sul lato interno della coscia, sulla pianta dei piedi. A parte le piante dei piedi, si può immaginare che sfiorare tali zone del corpo facesse parte dei preliminari di un amplesso, e con un po' di fantasia si può pensare a un ruolo anche per le piante dei piedi. Secondo questa interpretazione, ha assolutamente senso che debba essere un altro a provocare il solletico: da soli non è possibile. E il riso potrebbe essere un ricordo delle grida che accompagnano l'atto sessuale.

Guida pratica allo sbarramento delle finestre, ovvero un discorso intorno alla melanconia

con lucido ascolto della caduta


- Conosci Georges Perec?
- Hai letto Un uomo che dorme?

Che poi, signori, sono cose che si chiedono. E si risponde qualcosa come una risata per dire che, insomma, - qualche volta credo di aver detto che quella risata non è la tua, intendo di Ottavia, ma viene da altrove. Non so se ricordi. C'è da dire che le finestre sono sempre chiuse e questa bizzarra distimia tende a riequilibrarsi da sola. Quel singolo dice che abbiamo letto i libri e poi ci dormiamo sopra.

Come tutti sappiamo, è opportuno ricalibrare la vista e le distanze tra una pulsazione e l'altra del ridicolo. A mia perpetua discolpa, dirò che mi abita un daimon che applaude. Parlo di taumaturgia teatrale, rituale d'imbalsamazione semantica: per sopravvivere alle espettorazioni, agli sbocchi delle parole. Collezioni di organi immobili sotto gli spilli, cataloghi: il ridicolo che arriva ha qualcosa delle macchie d'umido, pretesto per parlare ancora di quella sconfinata antichità delle strutture, architettura che ci precede. Che poi è così stantio il discorso sulla sincerità e la menzogna, mi lascia sulle labbra l'indulgenza dolciastra e un poco scema da trattatelli dei tredici anni: diciamo solo che non c'è da fidarsi. Cave canem, prima che scopra i cadaveri con le zampe.

Pensavo che una volta i gradini del treno erano più alti. Pensavo a Fritz Zorn e alle sue lunghe riprovevoli tirate sul sesso e su come trasciniamo in giro lacrime non piante e seme non versato. Pensavo anche che non capisce niente, Fritz Zorn, e che la morte entra nella vita quando ci si masturba solo all'ombra delle fanciulle di un tempo, passate altrove. E immaginavo, se volete, pletore di figli già invecchiati e morti, per i quali preghiamo e scontiamo sebbene siano davvero all'inferno. Infine mi ripetevo che Freud è un cretino, e anche Zorn, ma non il conte di Segni. Vilissimo, vilissimo sperma.

Era per dire di questo miracolo olografico, quando la carne diventa memoria e alla fine un mattino più crudele degli altri ci disfa. Ne abbiamo uccisi tanti di albatri per mangiare così poco, così nulla.

sabato 17 ottobre 2009

Uno degli umidi silenzi

L'insetto
corpulento: cadente:
descriveva sfarfallando spirali rovinose
- come una foglia che s'inabissi in un etere ineffabile,
da che pendula e secca
sospendeva i suoi svolazzi
in un'attesa nebulosa.

L'aritmia congegnata
del proiettile sacrificale
(studiata in briciole
di secoli)
non sposava lo spegnimento dell'artropode:
unica la morte
putrida e sgradita
lo cullava in quel crepuscolo di felci
- ma era solo un metro quadro di sterpi.

giovedì 1 ottobre 2009

Shift the load to the Lord (Pacific Trash Vortex)

Ordinata in quest’unità di tempo,
l’infinita quiescenza delle fronti
è una catena di neoplasie (orditure
replicanti, permeabili) – muscoli
mimici; qualche bocca mutilata
si inarca a raccolta dei flussi –
una ridda di protesi caudali,
metacrilati e basalti alle correnti
dove convergono i rifiuti:

a noi i resti abissali, ancora a galla
in un continuo dispari, nell’attesa
di una violenta saldatura – pressioni
a rompere i coralli, atolli corrosi
in un pudore di crolli concentrici,
esattezze colte a vorticare
alle stesse velocità di deriva –

e ora sposta il peso addosso a Dio
in quei trenta metri verso il basso,
dalle forche dei processi sotterranei
– ogni singolo un catetere di sonno
irrigidito, a comprimere i fondali –

così, gonfi quasi come gli annegati,
noi; reti di plastica o cautele
oltre le sezioni di una barriera:

a separarci dalla prossima deriva,
solo l’ampiezza e la durata delle sbarre
annidate in coste, porzioni di trascorso;

a noi, di nuovo, il tesaggio delle àncore
a mare, sulle ultime sponde, un approdo
devastato dal verso flebile dell’avvenire.