mercoledì 27 maggio 2009

Il Manifesto dello scrittore fallito


Il Manifesto dello scrittore fallito




Ho fondato la mia causa sul nulla



Che il fallimento sia un esito possibile dell'evento, si enumeri nel gioco delle circostanze, è questo l'errore che dobbiamo superare. Perché il fallimento dorme nelle cose come un cancro cellulare, non le risolve ma le precede e le prescrive. Noi crediamo che si perdano le battaglie come una profezia. Qualsiasi osservazione tende all'aberrante, esplode gli oggetti in miriadi, e nell'affanno di ricomporle risiede questo fallimento raccontabile, traducibile. Sorge una relazione di filialità con quello che abbiamo distrutto, edipica nella misura in cui ne prendiamo il posto, una prigione dell'occhio in tutti i possibili fallimenti dell'oggetto-evento. Che, infine, sono i nostri – e le cose si rompono secondo linee tracciate, una runica preesistente, prevedibile fino all'angoscia. Se proprio si deve, non si può che abitare in un luogo-evento dove la profezia invoca la propria de-scrittura, non la finalità che molti chiamano realizzazione ma il processo di individuazione univoca che marginalizza il prescrittivo, l'atroce attesa, le concede di defilarsi nel bagliore dell'evento – come avviene che Simone di Cirene penda dalla croce. Si scrive come si beve, per far succedere qualcosa – alla fine resta un uomo liberato dalla caduta delle mura, dai serpenti marini, dalla morte di Astianatte. Liberato, nell'ultimo dei paradossi, dalla propria chiaroveggenza. Si scrive per accecarsi.

Io, Tiresia, benché cieco, pulsante tra due vite.

Sembra, signori miei, che la parola sia una specie di ventriloquismo. E noi siamo attraversati da questo rintocco di diapason come fantocci, come le mummie di Federico Ruysch. Ci apriamo in una parola imbalsamata, un collasso della laringe. E finiamo incastrati tra i complementi d'arredo, i bicchieri, gli scaffali della Standa, le sirene d'ambulanza. Tra gli indici polverosi di una poesia-sommario (e sommaria, nell'infinita somiglianza di ogni cosa col resto del mondo). I contorni degli oggetti anneriscono -una necrosi gravida, appesantita- e a furia di scosse li scopriamo epicentro, perno gravitazionale della parola. Il senso delle cose sopravvive, sì, ma come nausea, labirinto intestinale. Non più un significato che piomba dall'alto, non più una stampella che scorta il passo d'una parola debilitata, da ricovero. Poi questa malinconia inguaribile, questo rimpianto delle paludi, della vita come gemmazione automatica e davvero impersonale. Il romanzo, la tragedia del fenotipo. E perfino una testa di libellula, a questo punto, sarebbe troppo. Come a dire che, per essere finiti così, nel morso dell'autoscienza, dobbiamo essere stati davvero incoscienti. Questi "cervelli" traditori! E siccome è vero che solo un dio può salvarci, più che ad una discesa (ad uno squillo di trombe), dobbiamo prepararci ad un'intrusione, uno scivolone tipo gag anni '30. Immaginatevi questo dio che passeggia fra gli attributi e, a un certo punto, inciampa nei predicati strozzati, ammucchiati a metà tra soggetti e oggetti, in un conclave di scarti (è la sottrazione a fare la differenza, dopotutto).

Verrà poi il tempo delle ipotesi (l'indagine è sempre teologia):

- lo scheletro del mondo in un infarto di piani, un salto cardiaco fino ai cataloghi delle nostre piaghe, alla colossale lentezza delle cose.

- un'aritmia degli eventi, un'esitazione ventricolare.


Perchè gli eventi esistono, che lo crediate o meno. Sono fossili in via d'estinzione, rarissimi, così grandi che non basterebbero dieci vite per incorciarne anche uno soltanto. E procedono a passi giganteschi, colossali, ed è in questo sonno di formule che fissano i luoghi del Ritardo. Questi eventi, poveretti, dovrebbero essere una specie protetta. Bisognerebbe allontanarli una volta per tutte, esiliarli, deviarne la rotta con uno scoppio di morte, un'ecatombe di spazi. E questo per il loro bene, s'intende- qui anche loro “soffocano d'ombra”. Perchè questi pachidermi alla soglia non sono pericolosi, davvero. Noi, agli eventi, siamo immuni.

(Io oggi, alla gavettonata:

in mezzo ai colpi, dritto, alla pioggia

dritto -ma niente

-niente- if there

were the sound of water only....)