mercoledì 30 giugno 2010

Asino e Gisella: una scoria nera

-Sai perchè gli asini ragliano?
Perchè sono innamorati-

cit.

C'era una volta Asino. Asino era gonfio e tozzo, con gli occhi di un'aquila grande, ispezionava i buchi della luna groviera solamente saltellando,i capelli del sole che scende quando è stanco e, mentre tutti gli altri asini si addormentavano contando le pecore, Asino ci vedeva così bene che non poteva fare a meno di contarne i riccioli anzichè le teste.
Sotto i ciuffi che Asino numerava, una notte in cui faceva troppo brutto per contare le stelle (cosa che ad Asino piaceva molto), proprio sotto alcuni di quei ciuffi, venne a trovarsi una grossa matassa di pelo e sventura, vagamente riconducibile ad uno zucchero filato con quattro mouse penzoloni: una grossa Gisella.
La cosa strana di Gisella era che non aveva una sola ciocca scomposta, pareva fosse passata sotto un'enorme piastra. Non appena si accorse di essere osservata, quella notte quasi tutta nera, Gisella rimbalzò fino al recinto riuscendo a scrutare sommariamente Asino.
Fu così che Asino e Gisella si innamorarono perdutamente l'uno dell'altra, l'altra dell'uno. Saltellavano assieme per colline e colline e se Asino andava un po' troppo avanti, si fermava in attesa di Gisella, mentre se Gisella andava un po' troppo avanti, si fermava aspettando Asino.
Ora, però, c'era un problema, perchè Gisella era una pecora tonda con gli occhi tondi e diversi. Gisella aveva l'iride azzurra, che è un bel colore, ma non se ne era mai vantata perchè ci vedeva così male da non sapere nemmeno cos'era l'azzurro. Quando Gisella rifletteva le sue orbite cominciavano a gonfiarsi e sgonfiarsi ad alternanza; e questo era terribile.
Asino sapeva davvero un mucchio di cose: sapeva quante piume hanno gli usignoli, quante api abitano l'alveare del Re-contadino, quante zampe di mucca ci sono in una mandria di mucche e tutte le sfumature del cielo che si addormenta. Però Asino era anche un filosofo, quindi come tutti i filosofi soffriva molto quando passando sopra un formicaio veniva a sapere l'intero ammontare delle sue vittime, oppure quando dopo aver terminato (quindi molto presto) di contare i fiori del pesco in festa era costretto a contare anche il numero dei nidi abbandonati che ispiravano i canti tristi delle civette. Asino era molto triste, era sempre molto triste e Gisella, che non vedeva quasi nulla, lo capiva dal suo passo leggermente ripiegato su se stesso.
Allora Gisella chiedeva: "Sono molto belle le ciliegie che dondolano sugli alberi grandi?"
E Asino rispondeva: "si, ma sono rosse come le gocce di sangue che lascia la volpe che torna dal pollaio e dal filo spinato"
A queste parole, Gisella, che benchè fosse molto ignorante, era un tipo molto riflessivo, iniziava a dilatare e restringere complusivamente gli occhi, assumendo un'aria vagamente svampita. Gisella non sapeva che quel suo modo di fare faceva diventare pazzo qualunque animale la osservasse, lo sapeva solo Asino, Gisella pensava che tutti fuggissero alla sua presenza solo perchè un manto senza boccoli era la cosa più brutta del mondo.
Un giorno il Re-contadino andò in vacanza. Tornò dopo una settimana con una buffa cartolina in mano. La agitava verso Asino dicendo:
:-Guarda qui che bel posto, Asino, guarda, guarda. Sono stato in una grande casa piena di altre case, davvero molto bizzarro. Vendevano molte cose, così ho chiesto specificatamente qualsiasi oggetto che mi ricordasse la casa più grande di tutte. Loro hanno detto che ce ne stanno davvero tante di case in città. Io, vedi, non so cosa significhi "città", ma ho immaginato fosse la grande casa che conteneva tutte le altre case; quindi ho detto ancora una volta di volere la città più grande e loro sai cosa mi hanno detto? Che al mondo di città ce ne sono tante. Da qui ho dedotto che "mondo" deve essere una casa veramente immensa. Visto come andava la storia ho terminato domandando se ci fosse qualcosa più grande di "mondo" e si, hanno detto che c'era e che ce n'erano veramente di più grandi altrove. -Si, d'accordo, ma non altrove, io dico qui, sotto questo sole- ho replicato.-
-Ecco Asino- Proseguì il contadino-Re sventolando sotto gli occhi di Asino una foto satellitare della terra, -ecco dove sono stato, ecco, e che bellezza!-
A quella vista Asino fu colto da un infinito dolore: vedeva continenti e dentro i continenti le guerre, dentro le guerre le nazioni e dentro le nazioni le città in fiamme e dentro le città in fiamme la gente che muore di fame, poi le case con la gente che muore di noia, nella noia la morte, e nella morte rivedeva tutti i continenti, tutte le nazioni, tutte le città e tutte le case.
Era come se tutte quelle cose avessero tirato tutti i capelli del sole e apposto un epitaffio a tutte le fosse della luna, occhiaie della notte. In preda alla nuova paura, Asino corse da Gisella che dall'angoscia dello zoccolo carpì un forte spavento.
Allora Gisella lo interrogò: "Sono meravigliosi i boschi che costruiscono i castori sui fiumi?"
Dunque Asino: "Oh, si, sono boschi rubati, però"
Detto questo la fissò deliberatemente negli occhi ed impazzì.

giovedì 17 giugno 2010

According to Webster - come ho disimparato le mie fortune

Quando parlavo al telefono non capivo mai se la voce che sentivo era quella di un uomo di una donna. Dovetti praticare un foro all'altezza dell'intestino. Per sentirci di meno. Ma ora è uscito il sole. È arrivato senza preavviso, distruggendo le mie logiche, i miei ragionamenti, portandomi via l'ultimo residuo di coerenza. Lui, solo, a boicottare le stelle: e un solo maledetto sorriso mi ha sconvolto dentro.
Ma non erano uguali. Erano solamente le parole a imporci questa contiguità, a trainarci in un coagulo di moltiplicazione dei punti critici per arruolare le nebulose. Fiffo, spero che tu...io non perdo colpi, ero impegnato a cercare questo per voi.

Hanno dato l'orario di inizio preciso della gara mentre mi stavo riscaldando. Mortificato. Davvero.


Ma dai! Non ti preoccupare. Mi sono fatto un giro in bici, ne avevo proprio bisogno - per staccare un po' da uno studio strascicato e inutile (oggi sono anche andato a correre mezz'ora al Ravizza, finalmente, dopo tanto, troppo tempo) - ti mando poi qualche lembo di carne perché perdo i pezzi. Martedì alle nove c'è il ripasso, ma io non ripasso, io affogo con Borges.

Un applauso a quest'uomo: è facile attirare la gente dicendo cose comuni a tutti. Più difficile segnare un goal all'Olanda: e questo infatti non accade, andiamo ad Amsterdam senza capirla, la sfioriamo soltanto. Stiamo lì, appoggiati all'uscio, a leccarle il campanello: senza trovare il coraggio di suonarlo, senza trovare quella pressione che non ci faccia sentire in colpa. Perché non importa l'effetto, è una cosa formale. Mi raccomando, ragazzi: non presentatevi in pantaloncini corti o in costume da bagno. I peli.


A me fanno ugualmente cagare. Questa immaginetta parlava di te, che ancora rifiuti i pomelli e non prenoti le fermate. So bene cos'è una derivata, non conosco gli integrali.

Quest'uomo, io dico, merita più di un applauso, perché è grazie a lui che l'anno scorso sei riuscito ad annettere la Lituania. I campi seminati a sangue non regalano i frutti più succosi. Certo! ma il castello dov'è? che fermata? quanto ci metto?

Here comes goodbye. La presenza del piantone è innecessaria, a patto che la sorveglianza. Siamo come due satelliti: abbiamo bisogno di gravitare vicino. Vaglielo a spiegare, poi, che un satellite ha già rinunciato ai suoi bisogni. Allora io e te dobbiamo fidanzarci. xD

Lo scatolone dei ricordi. Ci trovo un super liquidator. In strada tutti a sparare.

Io ricordo il nascondino. Un nascondino estraneo alle metafore, un nascondino vero, di te e me, quando contare fino a cento era davvero il mio pensiero più abissale. Ci troviamo in quel giardino, con le pistole ad acqua. Ora tu dirai: a che punto credi, se prima eri solo lì, come tutti, non serve scriverlo, a me sembri un po' paralizzato, se penso che io rifletto sulle scritte dei muri e invece tu ancora non puoi permetterti di firmare le strade.

Io sono uno che si diverte con poco. Ancora augurissimi, Silvia.


Bellissimo intervento, assolutamente da leggere. Scegliamo di tenere ancora.


We choose to draw again.
We choose to draw again.
We choose to draw again.
But Evil keeps his hand as do we...


mercoledì 2 giugno 2010

I dannati della terra, ovvero un discorso intorno al prosaico

Debout, les damnés de la terre
Debout, les forçats de la faim
La raison tonne en son cratère
C'est l'éruption de la fin


Ho l'emicrania e la nausea e il sonno. Prima leggevo la vita di Carmelo Bene, un libro del quale posseggo due copie, identiche in tutto e che, se questo fosse davvero il migliore dei mondi, dovrebbero risolversi a occupare la medesima posizione in ossequio a Occam e alle dita sclerotiche degli enciclopedisti. So per certo che Carlo Magno diede un pugno a un vescovo. Carmelo Bene sputò in faccia a un disoccupato. Di Schopenhauer potrei dire che rovesciò una serva per le scale. Come sono facili tutte queste cose, amici miei! È che, di questi tempi, trovo tutto facile. Qualcosa come la sensazione di Tiresia, sparato ad alzo zero attraverso i sette veli progressivi dell'alterità sessuale, qualcosa come la bonaccia al ritorno da un periplo, sigillo alla conclusione del mondo, death-in-life. Lacrime nell'Indo, ma nemmeno. Come sono vuoti i nostri baracconi! Giganti e nani votati al pareggio dalla moltiplicazione insensata degli enti, queste ottiche ipertrofiche dei nostri giorni, mirini montati sugli ICBM, colpire l'indistinguibile che è l'esatta natura della morte, il motivo per cui trasla da omicidio a genocidio, l'altro risvolto del gemito della specie. Bergson dice che l'azione meccanica secerne il ridicolo. E ogni azione che sia ripetuta più di una volta – ovvero, oltre lo stadio in cui non è mai avvenuta, secondo Borges – diviene necessariamente meccanica, istanza basilare dell'esistenza. Ribadire l'evento è l'inferno mediano dell'uomo, tra la reiterazione del diavolo a molla e la condanna liricizzata di Sisifo. Temo si debba, oramai, decostruire la potenzialità stessa dell'assurdo e restituire al mondo il cilicio del bigottismo empirico, giacché l'evento non sfugge mai alla propria carne e al proprio sangue e non muta di stato. Semmai si scinde in costituenti sempre più elementari, affonda nella palude del quantitativo: nei regni fossili degli elementi, laddove l'unica ontologia possibile è l'addizione. Dicevo al maestro che c'è un motivo per cui gli stupidi comandano, ed è che gli stupidi fanno le cose. Gli stupidi sono quantitativi per definizione. Si arrampicano sui corpi dei compagni caduti. Tirano le stampelle contro il nemico. Accerchiano la Sesta Armata a Stalingrado con le dita dei piedi mangiate dall'inverno. Vincono la guerra, perché la guerra realizza la condanna biblica dell'occhio per occhio, il comunismo della morte – a ciascuno secondo la sua sola vita. Questo è l'estremo disdegno di un Dio che non riconosce i suoi oltre l'Adamo inteso come primo e unico, il Dio arreso alle mandrie, non a torto invocato come pastore, che comanda la moltiplicazione avendo disperato di ogni completezza, nel cui orecchio Kierkegaard bela il proprio nome in un parossismo di tragedia animale. Camminando dalle parti di San Pietro ho visto una scritta sul muro, e questa scritta diceva “Odia gli stupidi”. The words of the prophets... A noi, fatalmente esclusi dall'ingresso nell'aritmetica consolatoria, non resta che la speranza dell'azione assoluta, un semicosciente sogno nietzschiano. Fare tutto in tutte le maniere che non è collezionismo, ma rivelazione istantanea di quell'altro dal mondo che è la completezza del mondo, regressione ad un farsi implicante tutti i semi, lo stadio larvale dell'individuazione, il tempo di grazia in cui la crisalide segna i confini dell'evento. Ma di questo altrove.

La forgia segreta del prosaico, questo abisso ardente dei Nibelunghi, è l'azione, nel modo e nella misura in cui è possibile all'uomo. E tutto questo si risolve, capirete, nell'inesauribile contraddizione tra oggetto e macchina. Se il primo riceve il proprio significato come una grazia mariana, la seconda lo genera in una sequenza ordinata di spasmi uterini. L'azione che non si redime saturando tutte le possibilità e tutti gli scopi affonda nel gorgo della teratologia, procede per aborti progressivi fino al numero concordato di occhi e braccia. C'è un motivo per cui i ruderi conservano la propria dignità, per cui questo Colosseo, simile a un molare cariato, non si decide a crollare: la rovina è l'equivalente architettonico della reliquia, segno tangibile dell'ascensione da uomo a santo, da macchina a oggetto. La buddhità di chi ha sconfitto il proprio fine, più ancora che la propria fine.

@ Fiffo: ma la mia risposta è arrivata?