venerdì 3 luglio 2009

Mediterranee, una specie

La luna è coperta di foschia, il garbino soffia da due giorni. Domani pioverà. Grosse gocce d’acqua con un tonfo sordo, turberanno il Foglia e la sua calma stagnante (paludoso dai tempi di Catullo, di Marco Fulvio Nobiliore). Ma l’ieri e il domani sono sogni ugualmente archeologici; il garbino non s’interessa di loro.

Tutto questo per dire che anche la parola spesso cede; si arrestano i suoi flutti, si abbandona, al suono delle secche (gioco di vento pigro e canne): è triste come il dormire al sole, dopo pranzo sulla spiaggia, l’amore.

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Nel sonno cadi con la pronta fiducia del mistico; a volte stai parlando e la voce impercettibilmente sfuma, verso il respiro, il silenzio. Come fa questa prosa pacatamente compiaciuta di sé.

Non è un sonno platonico: lo ricorda il calore del tuo corpo, il movimento leggero e costante, nell’avanzare e ritirarsi del diaframma. Non è neppure la coscienza che si cela, anzi traspare: nel calcolo nottambulo del tuo avvicinarsi, allontanarsi, condividere, lo stretto spazio di un letto a una piazza.

Piuttosto è il sogno di veder agitarsi sulla pelle nuda il tuo ritratto; com’è di giorno nell’acqua immobile e bianca del mare.

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La sabbia si ammonta in dune, a fianco dei camion che l’hanno scaricata. Sulla spiaggia: un lembo sospeso a fronte del mare che già ambisce a lambire i marciapiede, le auto parcheggiate. La stessa sabbia che tra un mese, coprirà la propria indifferenza di turisti, e stagnante, come questa parola usurata, fingerà di essere maggiore alla sua compagna che riempie, ingorga le clessidre. E suggerirà al più innocentemente naif che la vita è bella, perché si può dormire al sole.

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Nei giorni d’aria tersa e opprimente, l’orizzonte si confonde col mare. Così che le vele, le piccole imbarcazioni che si scorgono dalla spiaggia, si tingono del colore di una duplice inesistenza. Illusione ottica dell’orizzonte, del cielo che preme, disperdendo tutto il suo goffo peso sugli scogli, e impossibilità di vedervi oltre per chi, sdraiato, non sa nuotare e annaspa tra le metafore.

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La luce estiva è tutt’uno al calore. Un senso di pesantezza dei sensi, prima che l’apparire sotto forma di miopia; una generale stanchezza dell’aria, come l’oro col tempo scurito delle icone, l’aria immobile del rinascimento. Alla sabbia si confonde la polvere dei musei. Ma se tutto oscura e tutto chiarisce, nel pieno giorno della sua oscurità, non è cruda, come aridamente si dice; ma ha il troppo chiaro e dolce delle convalescenze. Il mare che si riversa sulla battigia è il pensiero fermo che ristagna, la lingua; il troppo caldo fa sì che svapori, in epistassi.

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Tutta l’aridità delle marine.

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La baia vista dall’alto, dai tornanti della strada panoramica, ha profilo da fotografia, svanisce, nei contorni del suo antico nome romano. Al tramonto, la luce del sole riverbera sul mare, che occupa, oltre l’est, il settentrione, e la confonde all’ideale della sua bellezza; o la dissolve nell’espressionismo di una malinconia di De Chirico, strappata alle tortuosità della sua intelligenza e ricondotta alla propria origine, marina e greca.

Un colore concreto, come un riposo della materia. E concreto è avvicinarsi alla spiaggia; si coglie allora realmente il fiume e il sapore della sua acqua salmastra, il senso degli sterpi e dell’erba che toccano la riva, e quello dei palazzi grigi e popolari.

Se il sole coi suoi ultimi abbagli tenta ancora di confondere i pochi turisti, unici che occupano la spiaggia, ingannati da un depliant, un albergo, il suo basso costo, con l’impressione che il paesaggio vanisca nell’immobilità, che i giochi dei bambini arrugginiti procedano da epoche romane, al punto di chiedersi dove inizi, finisca, la realtà del quadro, le conchiglie della battigia non spazzata, c’è così poca gente che spesso non vale la fatica, incagliandosi al tallone nudo, cancellano ottusamente ogni dubbio filosofico.

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I pensieri, i mosconi e le parole ronzano, cozzano, e ottusamente muoiono, sul davanzale in pieno sole.

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Nei giorni in cui il cielo è troppo turchese, il sole a fatica concede i minuti, e troppo avidamente, poi, brucia i meriggi…

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Gli uccelli che si sporgono dai rami degli alberi del viale, a due passi dal mare, per la calura non cantano, si disperdono in monotoni e inesausti gorgheggi.

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Nelle borse della bici i sassi, raccolti l’altra estate a riva per il loro nitore, come panni vecchi, hanno stinto. Lasciando imbiancate le borse, il loro interno, si sono fatti, come parole, imperfettamente rossi e neri.

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I lavori alla stazione non finiscono più. Iniziati con quest’afa, sembra che le ruspe si sfiniscano, a trasportare ed ammontare, avanti e indietro la terra arida.

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A volte a rimescolare, l’acqua torbida guizza, un pesce o una rana, comunque una opaca macchia di colore. E non dura, né qualcuno vorrebbe da più vicino sapere, a cosa appartiene quel debole baluginio. Pure quel guizzo. Starebbe bene, sulla tela di un pittore, se di figurativi ne esistono ancora.

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La poesia è fluviale e come un fiume
cancella scorrendo le sue tracce:
né v’è rigagnolo, per quanto stagnante,
che non abbia
il suo salto,
fosse pure artificiale; persino il Foglia
ha le sue cascatelle dov’è il ponte del treno
e la gente va a pescare.

6 commenti:

  1. A breve anche su gamesradar, che come esperimento (per quanto già, licenziatolo, vi scorga diverse pecche - guardate all'idea) necessità di più feedback - in secondo luogo ché, sebbene l'avessi pensato per questo blog, ho idea che il contesto porti a focalizzare su dei temi e mandare in secondo piano altri, e preferirei evitare.

    Questo commento per, per quanto valga, attestare che l'"originale" qui è pubblicato :P

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  2. Non so quanto questo commento possa esserti da feedback. Posso dire però che ho apprezzato l'utilizzo di quella che è una tipologia di prosimetro, anche se avrei "economizzato" diversamente le porzioni dedicate alla prosa (ma si tratta di tempistiche scrittorie del tutto soggettive). Devo anche aggiungere che, personalmente, amo gli scorci che si dedicano alla propria terra e alle "verità" dei propri paesaggi; sarà forse per una punta d'invidia (benevola, sia chiaro) che abbiamo qui al 'Nord', noi che siamo così immersi (direi inglobati, in fondo, senza patetismi di celentaniana memoria) nel cemento cittadino. ;)

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  3. bhe, "tutto fa brodo", alla fin fine - solo avrei preferito'l discorso "economico" a l'altro che fai: essenzialmente perchè non vorrei si caricasse troppo l'"esotismo" del testo: il rapporto con il paesaggio c'è solo per gioco, il Foglia, d'accordo, ma davvero c'è anche nei carmi di Catullo (per quanto non è che mi possa spacciare per un amante dei classici :P), quanto alla natura, di sicuro con le spiagge et cetera è diverso che Milano e dintorni, quindi non è che tu scriva poi stupidaggini, anche perchè angoli più vuoti di gente si trovano, ma tolto questo considera che sto a 5 minuti circa da CAttolica e che da lì fino a RImii ho anche più su è una processione d'alberghi quasi ininterrotta! :P

    (olttre tutto d'inverno ha un effetto da ghost town...)

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  4. Per chiudere il cerchio rispetto alla questione dell'esotismo, quando sopra ho scritto di "verità dei paesaggi", pensavo anche alla loro componente di desolazione (la zona che descrivi ce l'ho più o meno presente), che a mio avviso è forse l'unica in grado di aprire una ventaglio di contrasti così efficace (beninteso, anche la città ha un suo fascino, per quanto rivolto al 'morboso').
    Rispetto invece al concetto che possiamo chiamare di "economia" dei rapporti nel 'prosimetro', posso dirti che l'andamento descrittivo di alcuni tratti sembra un po' inficiare quello che potrebbe essere un tentativo, tutto sommato ben riuscito, di sistematizzazione in prosa di alcuni dei processi di "analisi" che mi sembra di individuare. Sostanzialmente mi è piaciuto, comunque.

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  5. Mi è piaciuto. Alcuni passi, come "un lembo sospeso a fronte del mare che già ambisce a lambire i marciapiede", sono meno riusciti del resto. Hai reso bene questa "atmosfera" (da intendersi anche e soprattutto come combinazione molecolare, variante e ricambio dell'ossigeno).
    L'effetto "cartolina" (che non è sempre presente, sia chiaro) rende bene l'idea del paesaggio come pretesto, sfondo per appuntare qualche cosa, una nota brevissima, un saluto.

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  6. grazie a entrambe dei consigli, che servono, dato che almeno un po' vorrei provare a insistere in questa direzione; cercando di svalorare un po' l'effetto lirico, magari -

    @Noluntas: sì, a rivederlo fuori quel "verso" è effettivamente osceno, per una volta avrei dovuto badar di più al "labor limae" :P

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