martedì 30 giugno 2009

Nemmeno un prete che ci accompagni, ovvero un discorso sull'amore (ai tempi del colera)

[...] Perciò fai la vittima aggressiva, il grande perdente. Un professionista del fallimento. [...]
è così facile. Non devi per forza essere bello, almeno non in superficie, eppure vinci lo stesso. Devi solo lasciarti andare, fare il debole e l'umiliato. Continuare per tutta la vita a ripetere: Scusa. Scusa. Scusa. Scusa. Scusa...

Chuck Palahniuk, Soffocare

Di nuovo a te, ma anche a voi:


Perché se per svegliarsi più forte bisogna cedere al sonno, non ho ancora mai visto questo splendente καιρός che assolve le cose dal destino di non essere mai state - ascensione, resurrezione, rapimento a mezzo d'aquila. Chiamalo come vuoi. Morte. Memoria - e le consacra al mito, sulle cui soglie ci si ferma e ci si scopre il capo. Credo quia absurdum est. Ma ho visto il sonno infiltrarsi nei muri, lasciare macchie, ho visto che il sonno rimane e basta a sé stesso, non cerca sacrifici e non decapita cardi, cola con dignità minoica sul cuscino. Attende. Non è fratello della morte, ne è il padre, l'archetipo, la misura. E forse la somma del nostro scibile è il sonno – dormire come bruciare, dormire accanto che è come dire guardami perché morirò. E ci si chiede cosa avrebbe visto Psiche, se avesse davvero acceso la lampada.

Al mondo non c'è niente di vero, niente di bello, niente del tutto. E poi tu. Descritta in un qualche codice perduto, un Περί Φύσεως ad Alessandria – nota a margine, datazione presunta, accademico rammarico. Il rimpianto transita più in alto delle cose, eppure nessuno predilige l'assenza alla presenza – le tenebre alla luce – nessuno scioglie l'enigma newtoniano della distanza. Perché la ragione parla di economie, vantaggi - l'ora in cui tremiamo di tenerezza non si dilata in un'eternità, non è letteratura ma necessità che passa, lussuria – e il sentimento è sempre lo stesso animale cieco. Geistiges Gefhul, già: che beffa, ciance abbaiate alla luna! Così va la vita.

Eppure è di nuovo tempo per le ere glaciali del cuore. L'abbandono è spezzarsi, mai sanguinare: la cera museale cauterizza tutto, al corvo si lascia becchime sul davanzale, per quando ritorna – dice il suo annuncio e poi si parla d'altro, del dosaggio dei farmaci, del paziente che manca all'appello. È solo un mestiere. Continuo a sostenere che sia un fatto di pietà. Due disertori che si incontrano, e non si sparano addosso. Se l'amore vuole sopravvivere alla lirica intossicante che stilla deve risolversi nella malinconia di una cosa tra le cose, parlare piano per non attirare la fine. Gli dèi vendicativi sciamano, ed è giusto. A quanto ne so non apparirai più, quindi ti chiedo scusa. Perché è l'unica parola a conservare ogni pretesto, ogni diritto ad esistere in un mondo derubato delle colpe. Sul vuoto, contro il vuoto innocente, celebriamo queste cerimonie.

E ora dimmi, coraggio, che non hai capito un bel niente. Scrivo difficile. Ma è tardi, sempre più tardi.


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