venerdì 20 maggio 2011

Buona notte dolce debora regina dei sogni d'oro

tutti credono di sapere tutto quello che si vede, ma non sanno un cazzo e si credono uno sballo, fai il duro e il macho ma non vali un cazzo, vali meno di zero sei come euro zero, fa il figo e il bullo ma non vali un tubo cazzeggi con le tipe ma sei fuori dalla stirpe!!!! Vuoi il rispetto? fratello ma non hai cervello!! yoooooo.

- visto che qualcuno ha creduto che fosse opera mia (devo essere davvero una brutta persona) e visto che anch'io ho un poco di pudore, annoto che questa è un'opera di Andrea Porcu. Andrea Porcu è un personaggio trascendentale di origine ipoforumistica, è Timmy in sedia a rotelle che stringe un gunblade. E' uno stalker di gran classe e in ultimo un assiduo frequentatore di case chiuse.

mercoledì 20 aprile 2011

Altrimenti Ipazia non può postare un'altra cosa perché si vergogna di scrivere solo lei ché la gente la giudica logorroica e invadente.

E tu, se ancora puoi,

proteggimi dai confini spalancati della terra,

dalle cosce bianche delle sconosciute, salvami

dal neutrone di sonno

impastato sul fondo della gola.

Così, quando è notte di luna ennesima,

l'alta marea del pianto ci batte alle orecchie

e scendiamo con la testa sott'acqua, in alta montagna:

proprio allora il verbo ritorna alla matrice logica

come l'alfiere di piombo della Guardia Giovane,

regredito al grumo di polvere, all'avancarica,

allo stampo pressato.

Un'allucinazione tra i tentacoli, infine,

le lancette nel quadrante aritmetico, dalle parti dell'amigdala:

così, accanto, ci camminano nugoli di somme,

numeri piombati

per la massa inesplosa della balena.

giovedì 10 febbraio 2011

Fiscal drug

FISCAL DRAG
Letteralmente `drenaggio fiscale`. Aumento in termine reale del prelievo fiscale che si determina quando, in virtù di un incremento nominale dei redditi personali dovuto all`inflazione, le aliquote progressive di tassazione generano un carico contributivo addizionale superiore al tasso di inflazione.



Ai Ragionieri DOS


Quando abbiamo perso il coniglio, abbiamo ritrovato un'altra cosa al di dentro del sonno.
Un uccello dalla saggia confusione, che aveva le piume della materia degli sbadigli: la Paradisera, l'uccello di Hegel e dell'economia aziendale.
Ma non era una civetta, perchè la Paradisera non portava in giudizio la notte con la severità degli occhi, che teneva sempre chiusi, e non sappiamo se avessero anche solo uno sguardo. Quando l'abbiamo trovata aveva il nido a Wall Street, dove Nerino suonava l'euro-dollaro. Così la borsa si apriva quando Nerino incendiava il sole, quindi la borsa si chiudeva quando la Paradisera cantava la resa dei conti. Così:
-Parapara-
Prima della NASDAQ avrebbe potuto sbadigliare di meglio, ma acquistando azioni, la Paradisera non era più l'uccello nolontario di una volta. E crepuscolare.
Quando non si insegnava economia aziendale a scuola, la Paradisera beveva tante cose belle e poetiche; si era indebitata per comprarsi un nido di tempo sulla Torre Eiffel. Un nido tutto di belle lancette (questo vuol dire “di tempo”).
Il giorno lo passava tra cose molto sagge, poiché la Paradisera passava di bocca in bocca, come un pettegolezzo, ma era uno sbadiglio, e mangiava le cose belle che stavano in fondo alle gole e beveva quelle brutte.
La Paradisera: l'uccello di Hegel e dell'economia aziendale, era in principio un uccello nolontario e buono . Tant'è vero che quando mangiava molto, nell'arco della digestione si chiamava Paradisea; a digestione finita si chiamava civetta come Minerva l'aveva fatta. Ed Hegel la conobbe quando ancora mangiava e beveva, ma dopo digerito. Grazie a lei, egli impresse il sintomo del proprio sonno su ben dodici volumi.
E l'allievo ha superato il maestro, perchè quanti ne ha fatti sbadigliare Hegel, non c'è riuscita nessuna Paradisera.
Poi però la Paradisera, che insegnò ad Hegel l'arte dello sbadiglio, dovette restituire il debito che aveva contratto per il suo nido a tempo sulla Torre Eiffel, e divenne povera povera, tanto che non riusciva nemmeno più a comprare lancette usate per tappare i buchi che si spalancavano sulla sua misera dimora. Le sue piume, che erano piume dei migliori guanciali, da bianche come la pace, divennero nere come la pece.
Fu allora che abbandonò le gole dei filosofi, i poeti, gli artisti e gli scrittori. Passò tutti gli anni che le ci vollero per saldare il debito acquattata nelle bocche degli studenti di economia aziendale ed insegnò loro a sbadigliare. Invece lei imparò che cos'è Il sistema informativo di bilancio e il Mercato azionario. Quindi decise di investire il suo capitale di tempo in azioni, e presto si aggiudicò importanti fette del mercato.
Poi però, quando finalmente riuscì nell'impresa, ossia quando smise di essere una Paradisera a debito, vendette subito il suo nido così vicino al cielo e ne comprò uno più fedele alla terra . A Wall Street (quello vero, in America).
Ora si agitava tutta contenta e capitalizzata, perchè poteva finalmente permettersi i cibi migliori, questo pensava: che adesso avrebbe perfino potuto permettersi la gola di Omero. Invece si accorse che non c'era più cibo.
Niente più cose belle da dire: niente più cose belle da mangiare. Ma c'era pur sempre molto da bere.
E la Paradisera allora del suo animo da becchino fece un animo da Bacco.
Triste e capitalizzata bevve, e bevve molto.
Infine sperperò tutto il suo capitale in droga fiscale. Nel marzo del 1929, la Paradisera morì per overdose.


Questo è quanto c'è da precisare su quel famoso “Uccello di Minerva” a cui noi non facciamo del tutto giustizia chiamandolo “civetta”. Infatti è qualcosa più di una civetta, è una civetta drogata, o qualora risultasse sconveniente, una civetta ubriaca.
Dunque, questo è quanto c'è da dire sulla Paradisera: l'uccello di Hegel e dell'economia aziendale.



N.B: Oggi abbiamo un indice della redditività dedicato a questo uccello bevitore, un termine coniato sicuramente per ricordare i bei tempi in cui la Paradisera era una Paradisea. Tale è l'EVA (Evaluated Value Added), e indica la capacità dell'impresa di creare valore.

martedì 1 febbraio 2011

O parmigiano portalo via

Vedi nessuno piange. Vedi ti hanno detto quella è la porta da chissà quanto tempo, vedi è quella vattene, ma tu niente, se parliamo di porte niente e infatti quanto tempo, oggi 354 tempo. Vai via e non voltarti e non tornare c'è ancora il letto come l'hai lasciato tu. Soprattutto vai via. Se qualcuno obietta forse vi mancherà beh questo qualcuno primo vaffanculo secondo non è vero e non ci serve questo stretching concettuale delle cose brutte che servono soprattutto se non sono cose brutte ma una cosa soltanto e la peggiore. Guarda medesimo qualcuno che questi sono i due minuti proverbiali per un colpo di testo in rete.
Comunque non sei come i morti che lasci il vuoto non ricordo di averti mai visto aprire gli spazi inserirti lanciarti nello spazio con te non se ne va la memoria e neanche i tempi peggiori ma il niente la zolla innocente che siamo. Vedi, vattene, quella è la porta, per una volta la vedi, vedi, non ti vogliamo.

Ti hanno visto in spiaggia col borsone dei cd, Amauri.

giovedì 27 gennaio 2011

Nicole

Aveva deciso che tutte le sue foto del profilo facebook sarebbero state scattate durante una scopata.

Chiaramente il gioco prevedeva l’implicito e il segreto: un primissimo piano della sua faccia non sarebbe stata informazione sufficiente per nessuno, esclusi i presenti.

I presenti erano anch’essi selezionati tramite un criterio di riservatezza: sconosciuti aggiunti chissà come, zero amici in comune (escludendo locali, squadre di calcio, vip e altre cose che non esistono), totalmente estranei al corpus di conoscenze che fondava la regolare socialità di Nicole.

Tuttavia non è difficile capire che una notizia un po’ originale non ha bisogno di alcun giornale e se c’è facebook tanto meglio. Rimane quindi il dubbio che i fatti seguenti fossero stati già ampiamente previsti da Nicole stessa e che l’implicito e il segreto occultassero qualcosa di più implicito e segreto come la deliberata volontà di essere sputtanata.

Un maschio protagonista di un fatto simile invierà a circa il 100% dei suoi contatti maschili la foto che ritrae il frutto delle sue azioni. Forse anche a buona parte dei contatti femminili. A loro volta, molti dei contattati, sebbene del tutto estranei ai fatti, riterranno abbastanza scandalosa la notizia da diffonderla ulteriormente. Fu così che, dopo due soli cambi di immagine del profilo, Nicole vide tornare il torrente di gossip sotto forma di pagine da condividere. Tutte portavano la sua foto, la prima: gli occhi sgranati e la bocca dilatata in qualcosa a metà strada tra un sorriso e un urlo (potrebbe essere confusa con la smorfia standard che si fa alle feste), i testi cambiavano, uno diceva “Per chi vorrebbe scattarle una foto…. condividi se sai perché….. ahauhauahuahauha…..”, un altro più diretto “Ci facciamo una foto???” e uno proprio descrittivo “Questa ragazza è stata fotografata mentre faceva sesso!!!!”.

A questo punto potremmo aspettarci una reazione tragica: un ultimo set di foto con le vene tagliate e un articolo di cronaca nera sociologico sul mondo dei giovani nel quotidiano dell’indomani. Non andò così. Nicole continuò per la sua strada, che ora esisteva, collezionò almeno un’altra dozzina di foto del profilo e dribblò quattro o cinque proposte di produttori pornografici; agli amici diceva che stava bene.

Oggi Nicole è leader di un gruppo alternative rock, scrive per due fanzine di musica e cultura pop e le piacciono tanto gli animali. Nell’ultimo post sul blog dice che le mattonelle rosate delle stazioni metropolitane riducono l’immaginazione ad una partita a scacchi, un arrocco della fantasia.

Non sappiamo se crederle.

Difficile credere d'essere mai stato quel giovane imbecille.

"[...] NASTRO (voce forte, piuttosto solenne, evidentemente la voce dello stesso Krapp a un'epoca molto anteriore) Trentanove anni, oggi, sano come un... (Krapp, mentre cerca una posizione più comoda, fa cadere dal tavolo una delle scatole e il registro, riporta il nastro alla posizione di partenza, rimette in moto, riprende la posizione di prima). Trentanove anni, oggi, sano come un pesce, a parte la mia vecchia debolezza, e intellettualmente ho adesso ogni motivo di credere sulla... (esita)... cresta dell'onda... o da quelle parti. Celebrata l'orrenda ricorrenza, come sempre in questi ultimi anni, tranquillamente, alla Taverna. Non un'anima. Rimasto a sedere davanti al fuoco con gli occhi chiusi, a separare il grano dalla pula. Buttata giù qualche annotazione sul rovescio di una busta. Felice di essere di nuovo nella mia tana, nei miei vecchi stracci. Appena mangiato, mi spiace dirlo, tre banane, e solo con difficoltà mi sono astenuto da una quarta. Micidiale per un uomo nel mio stato. (Veemente) Devo eliminarle! (Pausa). La nuova luce sopra il tavolo è un miglioramente notevole. Con tutto questo buio che mi circonda, mi sento meno solo. (Pausa). In un certo senso. (Pausa). Mi piace alzarmi ogni tanto e andarci a fare un giretto per poi tornare qui da... (esita)... me. (Pausa). Krapp. (Pausa). Il grano, vediamo, che intendo dire con questa parola, intendo dire... (esita)... probabilmente intendo dire quelle cose che val la pena di avere quando tutta la polvere si sia... quando tutta la mia polvere si sia depositata. Chiudo gli occhi e cerco di immaginarmele. (Pausa. Krapp chiude brevemente gli occhi). Un silenzio straordinario, questa sera, tendo l'orecchio e non sento il più piccolo suono. La vecchia signorina McGlome canta sempre, a quest'ora. Ma non stasera. Canzoni della sua giovinezza, dice lei. Difficile immaginarsela ragazza. Una vecchia straordinaria, però. Del Connaught, credo. (Pausa). Canterò anch'io quando avrò la sua età, se mai ci arrivo? No. (Pausa). Cantavo da ragazzo? No. (Pausa). Appena risentito una vecchia annata, brani a caso. Non ho controllato sul registro, ma saranno almeno dieci o dodici anni fa. A quell'epoca vivevo ancora, più o meno, con Bianca, in Kedar Street. Ne sono uscito, da quella storia, grazie a Dio! Non c'era niente da fare. (Pausa). Non ho molto su di lei, tranne un omaggio ai suoi occhi. Molto caloroso. Li ho rivisti di colpo. (Pausa). Incomparabili! (Pausa). Insomma... (Pausa). Queste vecchie riesumazioni sono lugubri, ma spesso mi sono... (Krapp ferma il registratore, medita, lo rimette in moto)... d'aiuto prima di imbarcarmi in un una nuova... (esita)... retrospettiva. Difficile credere d'essere mai stato quel giovane imbecille. La voce! Gesù! E le aspirazioni! (Breve risata cui Krapp fa eco). E le risoluzioni! (Come sopra). Quella del bere meno, soprattutto. (Breve risata del solo Krapp). Statistiche. Ben millesettecento ore, sulle precedenti ottomila e rotti, consumate in locali autorizzati alla vendita di alcolici. Più del venti per cento, ossia il quaranta per cento della sua vita da sveglio. (Pausa). Progetti per una vita sessuale meno... (esita)... impegnativa. Ultima malattia di suo padre. Ricerca sempre meno convinta della felicità. Nessun successo coi lassativi. Sberleffi a ciò che chiama la sua giovinezza e ringraziamenti a Dio che sia finita. (Pausa). Qui, una nota falsa. (Pausa). Ombra dell'opus... magnum. In chiusura un... (breve risata)... latrato alla Provvidenza. (Lunga risata cui Krapp fa eco). Che cosa resta di tutto quel dolore? Una ragazza in un logoro cappotto verde sulla banchina di una stazione? No? (Pausa). Quando guardo... [...]"



Samuel Beckett, L'ultimo nastro di Krapp.

lunedì 17 gennaio 2011

Synephebi

Un pittore può non sapere cosa non vuole. Ma guai se vuole sapere cosa vuole! Un pittore è perduto se trova sè stesso.
Max Ernst


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Detective Pennington era un pinguino e una lente d'ingrandimento che si facevano compagnia.
Così come aveva rotto lo scheletro della vita, Pennington dedicò il resto della sua lenta morte di pinguino alla lotta contro il crimine.
Il sogno di Pennington era risolvere il Caso (che come tutti sanno è amico di Schopenhauer e nemico del cielo).

Il giorno dopo quello in cui sognò, per Caso qualcuno uccise una nuvola. E Pennington si dette all'indagine, che era un'indagine retrograda, perchè Pennington camminava all'indietro come i gamberi.

Dal grande lago partivano molte piste e altrettanti scivoli e, benchè Pennington, camminando all'indietro, le vedesse terminare anzichè partire, esso scelse comunque di partire da quella più promettente: il mare. Il mare, si, perchè il mare è sempre stato invidioso del cielo.
Tuttavia stavolta il suo latitante pareva non avere abbastanza belle le pinne per imprimersi nei pettegolezzi delle maree. Nel mentre che l'alacre pinguino si dava da fare con la sua lente d'ingrandimento, l'assassino uccise un'altra nuvola.
Allora il Popolo delle Nuvole riversò sul Polo Sud una micidiale ed incessante nevicata.
Tutti i pinguini emigrarono via. Rimase solo Pennington, quindi un cappellino da Sherlock Holmes, una lente e un colpevole sconosciuto.
-Se non è l'acqua, sarà il ghiaccio-
Il detective Pennington si avviò dunque sulla sua pista, senza perdere mai di vista le impronte che gli camminavano davanti agli occhi. E le impronte dirigevano verso il centro del continente.
E nessuno lo rivide più.

Passò più di una volta sullo stesso lago: per ogni orma Pennington faceva un passo, ma più andava avanti (quindi indietro), più si convinceva che la misura del passo è l'infinito.
Pennington sapeva di aver scelto la pista giusta; però Pennington non sapeva che lo erano tutte, perchè tutti i pinguini hanno le stesse zampe.
Quello che ha visto il grande lago sono cinque becchi di Pennington rivolti verso il cielo, quindi verso la neve, che è cielo sbriciolato (i pinguini, infatti, si riconoscono dal becco).
Molto tempo dopo, stanco ed affaticato, benchè non sapesse chi fosse l'assassino, ora sapeva che era sicuramente un pinguino -perchè è troppo diabolico per essere un altro animale e perchè lascia impronte da pinguino-
Era molto stanco, appunto: si sedette a terra ed accese un sigaro. Ma, aimè, era il Sigaro della Lucidità.
Pennington guardò le sue zampe, e poi le (sue) orme. E un pinguino e una lente d'ingrandimento compresero che le prime appartenevano alle seconde.
Per la vergogna Pennington si intirizzì. La neve ne fece un cubetto di ghiaccio.
E di nuovo non se ne seppe più nulla.

Il latitante, sentendosi finalmente libero di portare il vento ovunque volesse, ad una ad una, poco alla volta sterminò tutte le nuvole. Passati mille anni, al mondo non esistevano più nuvole.
Tra l'alto deserto azzurro e il basso deserto verde, precisamente attorno a Pennington, il sole a picco iniziò a sciogliere il ghiaccio.
-Se non è il ghiaccio, sarà l'acqua-
si disse il pinguino, che cominciava a pensare. Dopo si scongelò anche la lente, e allora fu il momento che Pennington pensò:
-Non ci sono pinguini senza ghiaccio. Se non esistono altri pinguini, al mondo c'è solo Pennington-
Ma la lente non si era ancora scongelata del tutto! Mancava ancora il detective. Dopo un poco arrivò il detective Pennington che doveva chiudere il suo caso, perchè se il Caso non si chiude entrano gli spifferi.
-Bisogna chiudere il Caso! ci vuole un colpevole-
Chiamò i pesci, tuttavi i pesci non gli risposero perchè non capivano la sua lingua, poi cercò gli uccelli, ma il fuorilegge li aveva messi tutti controsole.
-Se c'è solo Pennington, il colpevole è Pennington.-
Sul becco gli schioccò il guizzo della soddisfazione. E ripensò alle orme.
-il colpevole sono io! allora non mi ero sbagliato. Ti ho sconfitto genio del crimine. E ora..al fresco!-
Ma fortunatamente Pennington al fresco c'era di già, ed adesso con più bramosia di prima, non desiderava altro che essere scagionato dal suo cubetto di ghiaccio.
E però stavolta davvero non si rivide mai più: d'altronde senza ghiaccio, non ci sono pinguini.

giovedì 6 gennaio 2011

Benedizione del legamento

Anche questo sonno mescola le ossa, sceglie il centimetro, la statura
dell'amnesia. Tutto è esposto
alla trazione invisibile, il fiato corto degli dei
che inalano il soffitto. A nulla vale l'agilità del telaio,
la parola al carbonio, l'acqua
senza mediazioni, nel prodigio. (Qui la fine
è una funzione del tessuto, procede dall'amido).

Dunque molte cose sono un'esplosione, più le altre
che arrivano in barella
nello spazio di un taglio. Perciò della tosse credo
più della scossa: invece raduna il buio, la sillaba
dell'infortunio. Svegliarsi allora
è medicare la stanza, sbucare nel secolo.

Più alto l'incarico: tutto accade così fuori – tutto, intendo, rasoterra
in perfetta aderenza, la frizione anatomica
-
non possiamo che ricevere i feriti
dove avviene l'origine e tende
a non scomparire, ma anzi a precisare la cura

questa casa ha un decorso, una condotta clinica.

martedì 4 gennaio 2011

L'uomo che passeggiava è morto, egli era il nostro peccato.

C'era una volta un uomo che passeggiava, un giorno smise di passeggiare. Le persone che erano solite vederlo andare avanti e indietro per la strada si chiesero questi che fine avesse fatto ma l'uomo che passeggiava, non passeggiando più, nessuno sapeva dove potere andare a trovarlo per poi chiedergli notizie.
Le cose rimasero così come stavano e presto la storia dell'uomo che passeggiava divenne leggenda, in molti scrissero molto su di lui ma a noi piace pensare che sia tornato a passeggiare quando tutti, in vece del suo viso, non ebbero a ricordare altro che il suo mito.



Ciao dolce Ciclamino, non ti dimenticheremo mai.

Ora sei lassù, nel cielo con Gesù,
Ora non sei più, amara morte fu.

dea su selz

Come la calza che si smaglia, soppesi e fingi che tutto
si risani – la calce tirava la pelle fino al limite – e quasi
stai per salpare, anche se ora sali sul plesso dei nostri mille
muscoli ritesi, con la tua lacca per capelli che ne limerà
il palmo mentre risali ad Algeri – non sono stato sotto
nessuno e non ho mai giurato ma ti sento ancora simile
a qualcosa che irradia, come se mi avessero stretto attorno
delle bende – se tutti sapessero di questa pegasea binaria,
della figura di un argine in cui siamo naufragati – copiare
questo per iscritto sotto ipnosi non è scambio sinaptico
annunciato, ma incrocio di uno starci, di un resistere
precoce alla prosternazione – non è ancora tempo del trillo
a cui piegarsi, ma si corre a strisce, a scapito delle mani –
rimani tu per ora, rasserenante sboccio di borgata, unisci
e mi consoli come quando calerà scorrendo il gas dai tubi
e nei bienni a venire ti anniderai corsara in burqa correndo
nel mio cranio per tutto un tempo rischioso, indecifrabile.

[...]

giovedì 30 dicembre 2010

Lunga storia del mitile ignoto

La cozza è universalmente nota come.
Sebbene ciò non riveli niente quanto alla cozza, il concetto cozza con l'idea. Bene.

Spargeva il sale sul mare a metà inverno, come molte altre cozze, per commuovere il freddo.
D'altra parte meglio un'ostrica oggi che una lastra domani. Questo perchè, notoriamente, sotto la lastra la capra crepa.
Come moltre altre onde, slitta per non capitombolare, chiudere il capitolo di violenza per riaprirne un altro a ferro e fuoco poco più là.
Ma altre cose, pensa tra sè (come molti altri), bollono in pentola. Oltre alla cozza.
Sebbene la pentola rappresenti il destino del mitile paradigmaticamente accettato dalla comunità scientifica, non possiamo dire con certezza che al termine della loro esperienza terrena i molluschi non ascendano ad un più altro ordine di significato. E questo si può dire di loro come per molti altri.
Si sa, tuttavia, che il tempo esercita la rovina, il vino l'acqua, la birra la spina. Come le cozze fa molto male se accidentalmente la si calpesta con uno o entrambi i piedi.
Ciò nonostante i medici suggeriscono di non prendere freddo (scozzigliano sic) e di prestare attenzione alla natura dei vertebrati. Giacchè c'è molta speranza, ma ancor più paranza.
Per cui non si è cozza per convenzione: se ricoperti di onori lo si è per menzione, se ricoperti di odori, per ordinazione.
Niente ghiaccio. Vivremo giusto fino ai cento gradi. Perfino cento, li vogliono, e fanno i bei tenebrosi. Quando, proprio come molti altri, non solo fanno i tipi coriacei, ma nemmeno sono belli.
(senza alcun riferimento speficico. Non a caso spezziamo una plancia al mitile ignoto)

martedì 28 dicembre 2010

Il ponte di Eraclito

a spasso per l'eterno contorno.

Gira voce nelle città degli umani che Eraclito fosse stato, se non un uomo triste, almeno un filosofo triste.
Questa fama lo ha rivestito al punto che non ci si chiede più se Eraclito fosse o non fosse stato così e così, se avesse preferito pollo o spigola, mentre invece, laggiù gli uomini gli hanno dedicato un ponte.
Al di sotto dicono che stiano le lacrime di Eraclito, al di sopra dicono che vi stiano le loro. Nel mezzo i piccioni.
Dal ponte di Eraclito non si può passare, il che se ci pensa è un paradosso, ma fortunatamente non ci pensa nessuno, tranne i piccioni. Metà ponte è per quelli che camminano, l'altra metà per quelli che nuotano, dunque per i riflessi di quelli che camminano. I piccioni, esclusi, per questo si erano molto offesi e decisero che un uomo era qualcosa in meno di un piccione.
Urbani ed eleganti, un paio di piccioni muovendo la testolina avanti e indietro si complimentavano tra di loro per come quel pomeriggio gli alberi dondolassero così bene avanti e indietro. Uno di loro volle parlare dell'amico malato, che come tutti i piccioni malati, con le zampe aveva perso il senno e, confinato in un angoletto del ponte solo solo, con il piumaggio struffato, cercava inutilmente di persuadere tutti i piccioni che vedeva del fatto che le cose erano immobili.
Gli amici risero molto di questo fatto, sempre con piccioni diversi, perchè ogni volta che un piccione oscilla la testolina non trova più il piccione di prima. E' sempre un piccione più avanti, o uno più indietro.
A dispetto di quanto si pensi, i piccioni non possono affatto innamorarsi.
Quando gli tornava in mente questo fatto si rattristavano di colpo e se ne ritornavano al ponte di Eraclito, dove se non aspettava loro l'amore, li aspettava l'acqua.
E tutte le volte, con il tramonto finiva la tristezza che tuttavia era un'angoscia ancora piena di sole, ed iniziavano a piangere sul fiume e sulla luna, ma sempre su un fiume ed una luna diversi.
Confondevano le lacrime con l'acqua. Un piccione non si farebbe mai veder spargere lacrime da un uomo.
Quando un piccolo piccione chiede chi sia mai stato questo Eraclito gli viene appunto risposto che era stato un uomo, e che dunque sicuramente non ha mai detto nulla di intelligente, o anche ammesso che lo abbia fatto, nulla che possa riguardare i piccioni.

stare mare

Tornado e Tempesta si trascinano per i portici fieri dei loro soprannomi.

Tornado è alto un metro e settantotto centimetri, dalla mamma ha ereditato lineamenti molto delicati e dal papà occhi molto convenzionali. Veste un solo colore per volta.Tempesta è bassa e magra, non ha ereditato nulla dai genitori e, se pure fosse, se lo è già tinto diverse volte. La faccia cattiva di Tornado, quella che lo rende rispettato cioè che gli garantisce il suo soprannome, prende forma in un’estrema rilassatezza del volto che induce i pesci piccoli a ritrattare scherzosamente quello che hanno appena affermato e i pesci medi a riportare dignitosamente la conversazione su un piano più adulto. I pesci grandi lo conoscono. Tempesta conosce solo l’insulto, le minacce e le botte.

Il rapporto che li lega trae forza dalla sua indefinibilità. Sì, sono stati insieme i primi anni del liceo, poi si sono lasciati, si sono rimessi insieme per poi lasciarsi ancora. Ora fanno sesso sporadicamente, alcuni li chiamano “migliori amici”. Non so se esista un solo esempio di quella coppia aperta fantasticata dai teorici della libertà sessuale, quel tipo di rapporto dove gelosia e possesso sono pallidi ricordi del patriarcato e l’accoppiamento un gioco come un altro che ammette preferenze ma non esclusività; se esiste non è questo il caso. Tutti ricordano le apparizioni spettrali dell’estrema rilassatezza facciale di Tornado, tra le luci intermittenti del BlackOutRockClub, vorticare attorno al corpo danzante di Tempesta, sabato scorso verso l’una e mezza, le due. Solo Martina invece ricorda il calcio che le è arrivato da sotto il tavolo quando due giorni fa, alla riunione del collettivo, ha fatto un’allusione di troppo sulla contraddittorietà che i tipi tranquilli come Tornado esprimerebbero al letto.

Vongola saltella nervoso per i portici in direzione identica e verso contrario a Tornado e Tempesta. Esistono cinque storie sull’origine del suo soprannome, due sicuramente false, due parzialmente vere e una così assurda da far sballare anche la logica fuzzy. Avete presente l’imbarazzo quando scendete alla stessa fermata di una ragazza e prendete la stessa strada, con lei che si gira nervosamente affrettando il passo e voi che tentate di fare la faccia più innocua e svagata di cui siete capaci ma che a lei sembra solo perversamente ipnotizzata sulla visione allucinatoria di un futuro crimine sessuale? Vongola si sente così con tutte le persone, in tutte le situazioni. Ha capito di non fare paura a nessuno e per questo ha paura di tutti.

La comitiva che frequenta lo ha mandato a saldare un buffo con uno spaccino testa di cazzo, gli hanno dato una serie di ordini comportamentali contraddittori sperando che faccia qualche stronzata e venga devastato di botte. Un po’ per avere un pretesto per chiudere i rapporti con lo spaccino testa di cazzo, un po’ per le botte in sé. L’ultima volta che Vongola ha avuto a che fare anche con gli elementi più gerarchicamente inesistenti della criminalità organizzata si è trovato a reinventare il suo intero albero genealogico per escludere ogni parentela con le forze dell’ordine.

Quando Vongola entra nel campo visivo di Tornado e Tempesta, Tempesta dice “C’è mio fratello, attraversiamo”. Quando Vongola nota Tornado e Tempesta che si muovono come gamberi verso la strada, cerca l’espressione più adatta per salutarli ma l’unica cosa che riesce a dire è “LA MACCHINA!”, salvando dalla morte (o forse dall’ospedale) i due distratti fuggiaschi che, per assicurarsi di fare in tempo, avevano tenuto gli occhi incollati sul ripugnante ma provvidenziale Vongola, muovendosi verso la strada come gamberi.

In questi momenti Tempesta pensa che le persone deboli e penose come suo fratello siano state ricompensate in qualche modo da Dio che, come in un gioco di ruolo, non può creare personaggi quantitativamente inferiori ad altri, ma solo distribuire in maniera diversa i punti nelle varie qualità disponibili. Allora Vongola avrebbe un cuore pieno di bontà ma povero di coraggio, una straripante empatia per tutte le creature del mondo e una beffarda incapacità a relazionarcisi come cristo comanda. Ma in questi momenti Tempesta sa bene di teorizzare cazzate. Lei sa che il soprannome del fratello deriva dai drammatici siparietti di agonia mollusca che metteva in scena prima di strappare gli esserini, ormai (purtroppo per lui) morti, dalla loro conchiglia natale.

Tuttavia in questi momenti Vongola si sente il cuore pieno di bontà e tutt’altro che povero di coraggio al punto da riuscire a chiedere un favore personale abbassando gli occhi solo un paio di volte.

Ora lo spaccino testa di cazzo se la vedrà con Tornado.

giovedì 16 dicembre 2010

Coollage

La abbiamo scritta così:
- la abbiamo scritta io e kyuss
- la abbiamo scritta 5 versi per uno, kyuss è più veloce di me, si alzava e tornava e io dovevo ancora iniziare
- non ero tanto capace
- 5 versi per uno significa 2 blocchi-monadi-moloch da 5 versi. poi la compenetrazione, un blocco nell'altro. abbiamo innestato i versi dove ci sembrava più opportuno, con i dovuti aggiustamenti. non mi sono spiegato bene.
- 2 versi jolly, creati nel momento della FUSIONE, per legare cose che evidentemente non c'entravano un cazzo l'una con l'altra
- non è vero, un po' c'entravano
- la cecità è percorrere la vista a ritroso
- venere di MILOS

Ciao. Tanto lo so che non ci siete, tranne Imago. A proposito: attendiamo con ansia, qui, maggiori dettagli sul fuoco dell'araldica.
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L'occhio governa l'attrito, dispone il corpo
in sezioni globulari, angoli sfocati, posture
della schiena – sembra quasi vedere
cioè piegare, mutare le parentesi al volume.
Che il freddo lo si spacchi fino al posto
della radice, o al cuneo esponenziale
di una seduta interminabile, altra
è la natura della resezione; in luogo
dello scontro, la sfera. Chi scrive
si sdraia sulla bocca: per tutto ci sono
capsule di secessione, notizie della luce.
Applicare l'occhio senza che sia adesivo,
ma al contrario il mondo, la guarnizione elastica
vergine e cruda come scogliera, per il solco delle maestranze

venerdì 19 novembre 2010

Misericardia

Ciao a tutti. Siamo sempre io Manuel e lui Kyuss. Quelli veri, come la salamandra.
Qui il risultato precede la somma: la prima poesia riportata è stata scritta a quattro mani. Le due successive sono una rielaborazione del testo originale.
Ora vi spiego. Io Manuel ho sostituito i versi di lui Kyuss con altri versi (versi miei Manuel) nuovi di zecca, e lui Kyuss ha sostituito i miei Manuel versi con altri versi (versi suoi Kyuss). Sia io Manuel che lui Kyuss, inoltre, abbiamo alterato leggermente il testo laddove ritenuto (da Manuel e Kyuss, io e lui) necessario.
La poesia che trovate sotto la lettera R (che sta per Manuel) è quella di io Manuel.
La poesia che trovate sotto la lettera Z (che sta per Kyuss-Daniele) è quella di lui Kyuss.

Ciao (tanto lo so che non ci siete).

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Come una reliquia di mare, il fuoco ai consanguinei
si consegna alla sbarra - dove altrimenti
si riducono le anse, si ammainano le ombre
fino al rintocco dei polsi, la trasparenza che rileva
un calo eidetico, il collasso degli specchi d'acqua, la distanza
che ribalta il sangue, la polarità dei flussi.
C'è una persistenza dell'arco, un improvviso brillamento
percorre il binario della frattura: qui si avvita l'aria
percossa fra i treni e le banchine, indotta a un altro centro,
alla spina della voce. Niente sopravvive al vetro,
niente all'esplosione di una discrasia, e quindi una pioggia
regolare prova l'autenticità del distacco, la fibra inosservata
per l'accrescimento; e allora misericardia,
misericordia delle gole - non altrove si avvera il crampo,
l'accento del muscolo. Lo stesso niente
ora vibra, impatta il tronco, il palato della pagina.

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Z di Kyuss:

Come una reliquia di mare, il fuoco ai consanguinei
scioglie il sedimento; per lo stacco di un cristallo
si riducono le anse, si ammainano le ombre
che hanno lembi più vasti, sanno accelerare
il collasso degli specchi d'acqua; la distanza
di un accrescimento passi dall'incavo: intatta
c'è una persistenza dell'arco, un improvviso brillamento
che parla di una precessione delle stelle, di condensa
percossa fra i treni e le banchine, indotta a un altro centro
come il fiato; non l'inciso, non la distorsione angolare,
niente all'esplosione di una discrasia; quindi una pioggia
regolare, la pietra in cui passavano i nervi e le maree
in accrescimento; e allora misericardia,
misericordia delle gole, se qui si vede il taglio che stende
la sua mano per segnare convalli, le baie in coalescenza.

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R di Manuel:

Questo buio è un difetto del corpo,
si consegna alla sbarra. Dove finisce il contatto
comincia un osso, la sporgenza esatta
delle basi. Così fino al rintocco dei polsi
la trasparenza rileva un calo eidetico, l'onda
che ribalta il sangue, la polarità dei flussi.

L'ago testimonia il peso controluce, percorre il binario
della frattura: qui si avvita l'aria
inclusa fino al centro, alla spina della voce.
Niente sopravvive al vetro, al varco stretto
del fuoco. Perciò un calore uniforme prova
l'autenticità del distacco, la filigrana invalicabile.
Non sentiamo la pioggia, ma un'acqua minore,
una detrazione sintattica, quanto della linea
inaugura il tratto. Non altrove
si avvera il crampo, l'accento del muscolo. Lo stesso niente
ora vibra, impatta il tronco, il palato della pagina.

domenica 14 novembre 2010

Excessus de-mentis

Ultima notizia, come tante altre, come tutte le altre. E' l'unico caso in c'è la gara per l'ultimo posto. Dunque non c'è spazio qui che per le cose veramente importanti: la Nintendo traveste con gli yen il suo bilancio, ma è un bel vestito, di gala, anche il nuovo DSi Super Mario si veste di rosso.

Tutto questo non è ecologico-
L'ecologia diventa marketing, la Crusca finalmente si arrende supplicando l'altro Norton di aver ancora un minimo da dire senza ricorrere al C++. La risposta è gelida, quell'uomo sa il fatto suo, arreda a modo l'ultima mandata di funzioni in sette variabili e, con la nonchalance dell'abile registratore di massa, richiude le staffe e se le porta a liquidare in conto lasciando incustoditi i poveri intelluttuali davanti alla BNL. Pare che non ci sia più scampo, l'ultimo paio di tappi per le orecchie arrivava dal Mississippi: è l'E-commerce. Ora che sono stati incassati quei letterati bagordi come nella bara, anche l'E-commerce ha il suo alto di ph di acidità, la sua anidride carbonica da transistor.
Dalla moquette, il popolo degli Hacker, attratto dai nostri progressi informatico-economici ha risalito la catena delle Password, diffondendo virus a noi sconosciuti. L'epidemia si è sfortunatamente trovata a coincidere con la crescita demografica del 21esimo secolo. Migliaia di utenti ammalati inquinano internet trasmettendo il morbo ed immobilizzando il motore di ricerca. E' stato appena scoperto che un uso smodato della tastiera produce gas tremendamente dannosi che fanno tossire le dita dell'ozono per tutta la notte. Le madri sospirano, mentre ritirano il loro tostapane giapponese "Ehh, erano anni che lo desideravo; il mio phon". Il 90% della popolazione brancola ormai nella cecità più assoluta.
Dopo una lunga seduta di storpiamento, i nuovi verdi dichiarano soddisfatti come si chiamerà il vecchio modo di commerciare, quello vecchio, si, quello dove si andava alla Pam per la nuova felpa della Nike 100% quasi cotone. Ebbene si chiamerà:E-cologic. "-Un genuino modo di investire senza rallentare la rete comune-" pontifica il vero Norton (rigorosamente non scaricato da Internet) "-per un Internet più veloce, prendi l'automobile!-".
Ebbene, grazie a questo nuovo interesse verso l'ecologia (o meglio, E-cologia), verso la riduzione dello spreco sono da riscrivere ed opportunamente ristampare tutti i vocabolari e tutti i libri di economia.

Non finisce qui-
Ci pensa, lei, a quanti starnuti ha fatto in tutta la mattina? Ha idea di quanto inquinino due pacchetti di fazzoletti? Ha idea di quanto ci mette Madre Natura a disperdere i materassi del suo muco? Ci pensa? E allora ecco, la smetta di starnutire. Via tutti i raffreddati, o moriremo tutti!
Ah, e poi le mutande! Che spreco! Non si vedono nemmeno, perchè si ostina a generare biancheria nei suoi cassettoni IKEA? Via, via le mutande e via anche gli storpi, lo sa lei quanto ci mette Madre Terra per smaltire un dito intero? Ed ognuno di loro ha idea di quanti potrebbe averli persi? E dove poi? Magari un po' di costui parcheggia sotto la sua auto! Ci pensa!?
Ci pensi! Pensi a quanto occorre al cielo per dimenticare i nostri sguardi, pensi solo a quanti passi vengono sprecati dalle signore che dimenticano le chiavi a casa, pensi a quanto cibo buttiamo ogni anno per i nostri figli, i quali a breve finiranno sotto terra. E' uno spreco, un grande spreco. Impariamo da Keynes, pensiamo al lungo periodo!
Eh, si, gli uomini costano troppo ai boschi e rendono alla Phisis meno che le azioni del mercatino dell'usato.

Riflettendoci, l'unica vera scelta ecologica, in effetti, è stata solo la bomba atomica.

giovedì 28 ottobre 2010

Midrash delle rimesse

Per estorcere al bicchiere il cartone, le scanalature
flessibili, di tavoli infinitamente risolti nel riscontro
periodico del tappo, la cautela che s’incrocia
sui banconi e più precisamente sul dorso, il sisma
dell’acciaio inox raccolto dentro ai muri, si spostano
le dita, il coinvolgimento: dove procede la separazione
degli involucri, il punto in cui suturano le schiume,
il presentimento della squalifica, la riproduzione
dell’infortunio che si avvera, come credere al fischio?
Niente somiglia alla simulazione, lo svolgimento
di complicità indotto tra la postazione e le buste.
Cos’è questa dizione che si slabbra per rifarsi al piede,
l’evento alla vena, il tuffo nel pieno della traslazione,
lo scivolamento del corpo nel discorso, quanto
l’allungamento sveli una lesione, un’altra fase di caduta
e un bellissimo esterno, l’estremo e il ritorno?
Chiamare al mondo il contatto, quindi vedere
quanto di strano ci liberi l’attimo della discesa
fino allo sbalzo tramortito, il compimento dell’ernia
in tutti gli inguini, l’incrocio di una ribattuta.
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Giustificazione (e, se necessario, ricoeurso):

"Quel che nell'imitazione diventa visibile è, quindi, proprio l'essenza autentica della cosa"

Per dire che la simulazione, insomma, non si configura tanto come possibilità. Piuttosto, come indagine. Esplorare, appunto, lo spettro del possibile, le maglie dell'infortunio, le trattenute, accantonare il ri-serbo, la devozione meccanicistica, trascinare la gamba fino all'anello che non tiene (fatalmente, proprio il TERZO blu). Preferire, una buona volta, l'inesistenza all'insistenza, Dio a Portanova. La simulazione: anche, nelle sue derive estreme: designare i limiti propri dell'immagine, l'impossibilità di replicare la velocità (vale a dire l'impossibilità della stessa immagine di simulare, di dire altro da sé - ad esempio sul dorso nel buio - la mancanza d'aria, la sua bolla di autismo), la scansione che inibisce il pericolo (pensate a Giacometti), la sua insufficienza dinamica, la falsificazione che, di fatto, origina dalla sospensione, dal congelamento, dalla vivisezione frame per frame sui tavoli sterili del laboratorio, la provetta tv, infine, che abolisce l'inerzia chimica dell'evento, la reazione-relazione tra evento e accadimento dell'evento. E viene da chiedersi, anche, se l'evento non esaurisca la propria portata proprio nell'accadimento, e qualsiasi valutazione successiva non sia necessariamente inattendibile (soprattutto: come giustificare un'ulteriore verifica?), incapace di descrivere l'affollamento delle forze in gioco, costretta com'è a forzare le irregolarità in uno svolgimento piano, a frenare il significato cinetico dell'evento fino alla rimozione, alla pacificazione del perimetro. E quindi la simulazione come forma superiore di critica (dove la critica è indistinguibile dall'epicentro, dall'impatto), discorso sull'immagine - e l'immagine, invece, incapace di riferire altro dal cono di luce. Ma, infatti, deferire.

venerdì 22 ottobre 2010

Suite

Cavour è morto a casa e in parlamento, niente colpi di testa per lui ma l’aderenza facile e felice a un’ideale piattezza novarese, al taglio geometrico e distinto: non le fughe con le amanti né interruzioni al suono del campanello o del telefono, né la rincorsa verticale dopo il rumore dell’elicottero in volo o il merlo fuori dalla finestra vago: invece lo scivolare, di piatto, sulla superficie delle cose, con la lama tagliente dell’ombelico spinta per tutti i ripiani, le mensole, i mobili di casa: il pensiero delle ciabatte fuori dalla porta, il conteggio del pane e la lattuga, il ripetersi in tutte le stanze di un bel soffitto a cassettoni.


Il Conte di Cavour con tutto il suo misurato passeggiare non può dar conto della minima ampiezza del suo sguardo né traversarlo fino in fondo, cosa che una mosca può: appiattendosi fastidiosamente tra la cornea ed il reale, spigoloso, spinto fuori: così misura il passo alla sua impronta tra un estremo di abbandono e un diktat: mentre pensa da solo ad alta voce tutto il suo discorso è un ultimatum che ogni giorno rimanda, uguale, al giorno dopo.


Cavour ventitreenne si nasconde vergognoso tra le righe fitte e le foto di Novara Magica: scarmigliato e già gli occhi pignoli di chi non sopporta i puntini alle troppe i del proprio nome: indifferente come un epicureo troppo attratto dalle pietre del proprio giardino e distratto delle piante se non grasse, troppo applicato all’arte di star seduti dritti sulla sedia, rigido impiccato allo schienale: è la sfiga di abitare i baluardi di una città priva di viuzze pur standone lontano né averla mai vista, messa in croce dalla rete gettata delle strade scavate tra cardo e decumano.


Otto Bismark cammina per i portici del centro col passo di marcia della sua sciabola al fianco: ogni inciampo, ogni deviare inavvertito per scampar alla deriva di un passante è il fiorire per l’aria di cicatrici in linea retta: così si sfoga, con centocinquant’anni di ritardo, la pazienza asburgica: contando con lo sguardo e l’aria tersa i fili d’erba dell’aiuola smunta che ha davanti, la raccolta differenziata della carta e le lattine, il ritardo previsto dei treni alla stazione.

lunedì 4 ottobre 2010

"così per conoscere l'immensità bisogna non capire niente, perdere ogni intelligenza, non conoscerla"


come volerla la compassione quando ancora

non siamo che l' infanzia, la mano con cui
reggi quel bicchiere, sortiti a quel qualcosa
che ti porta via, così vicini a questo fuoco?
da cos'è quest'escissione, anni che si tirano
alla lama che li ha presi? oppure l'ira scesa
dai flagelli riparati, contesi per le piaghe
tese al fondo, come a contenere, contendere
le cose, il ribasso della voce? o ancora è il
punto di una stessa diffusione, lo schiaffo
in croce, sottotraccia, insoluto al meglio
dei propri replicanti, di ciò che mi parlò
di te, quanto riposi male queste mie mani?


*

così lontani da un qualsiasi regno, per il punto di fuga, alla rovescia

[dello spettro; la consonanza è disconoscere, assorbire in corpo


Hebron piantato addosso un fucile, controlli e ripartenze con le grate alle

[finestre, sorridere in posa ai documenti sfogliati,


il fastidio che qui la dissonanza siamo noi e la nostra radio sulla strada,

[nebbia che trasmette tutto ciò che è andato e ci fa ancora:


*

come tirare la pelle dei sinedriti
fino a farla saltare, passare per le logge
respingenti dell'aria, posare lo scarto
come un'intersezione, rendere immobile
ciò che si ama con la stessa trazione?

*

non li voglio i dogmi, non ancora, finché
resti il solco della stagnazione fuori dal Verbo
che si è fatto carne dilacerandosi dal Padre,
non voglio nemmeno ciò che è mio se arriva,
solo questa luce non ha smesso di irradiare

*

ho una sola matricola ed è abrasa, sono molti
e a molti sembro, quando una sola è ancora
la tratta per l'approdo, il nuovo arresto per la
medesima scelta di non esserci più per stare
svegli, capirsi nella traiettoria che non ha una
condizione pari, né un termine per questa veglia

*

non basta una sola inondazione a contenere i ghiacci, il ricambio di accordi

[universali, ma è la ripresa semicosciente: la separazione


vede le armonie disimparate, il suono rauco dei sopravvissuti dentro ai cicli

[delle acque che riempiono i sommersi, l'apocalisse semplice,


il non dare nulla da pensare oltre la conflagrazione, l'inutile superamento,

[rovina lucida come il volere degli imbelli


che regge agli spergiuri, deportati nudi oltre lo spazio che si rompe fuori

[da ogni storia e resta esposto in ciascuna voce



martedì 14 settembre 2010

.

(Questo l’ho imparato lavorando al Museo: ) Ut pictura poiesis: siccome non so disegnare scrivo. (Siccome non so disegnare alla maniera manierista che vorrei, scrivo poco e male.)

Corvi

L’incrociarsi di sottili e spesse linee nere come tagli, lungo tutto lo spazio della tela, attraverso il fondo bianco grezzo: con la grazia celere di certi scarabocchi (appuntati sul bloc-notes mentre si parla al telefono o si segue una lezione noiosa all’università) che non vengono al nodo e insieme la crudeltà precisa e rappresa del tocco del coltello o bisturi: non che siano veri squarci, sulla materia viva: non sono fughe verso altre dimensioni o altri lidi, ma linee, più o meno nettamente incise, e tali stanno. L’incrociarsi di sottili e spesse linee nere attraverso il fondo bianco grezzo: sono corvi (e ne informa pure il titolo): e poiché dal simile segue il simile com’è noto, facile giudicare il loro significato dalla dieta: e la snellezza e la crudeltà e perché ogni ghirigoro termini con un punto, ben definito, simile in tutto e per tutto a un minimo occhio.