mercoledì 25 agosto 2010

Come un vecchio rimorso o un vizio assurdo

Di nuovo a te, ma anche a voi:

Due giorni fa, in una stanza dell'Hotel Boston a Milano, gestito da un pakistano in divisa da ussaro, guardando una ragazza che dormiva come un gomitolo sulla sponda opposta, ho cominciato a rivalutare le puttane. Mi dicevo che quando il giorno filtra dalle tapparelle e inchioda la polvere a mezz'aria la soluzione all'abbandono si sente nelle vertebre e smette di essere una questione di riconoscimento affettivo, o di impulsi riproduttivi. È una faccenda più antica dell'impeto a popolare il mondo, più ancestrale ancora dei primati che si spulciano a vicenda. Risale ai nostri progenitori monocellulari, che sciamano lungo le correnti calde: è una faccenda termica. Come se durante un massaggio cardiaco scivolasse la mano sulle tette della moribonda: non sarebbe pornografia, sarebbe sopravvivenza. Mi chiedevo, quindi, quanto costassero al grado le puttane, e se ne fosse disponibile una con almeno trentotto di febbre. Poi scorrevo mentalmente i miei Levi, Crowley, Kremmertz, alla ricerca di qualcosa come uno stupro emotivo, la formula che frantuma il corpo astrale. Per dormire si contano i diavoli.

è vero che per essere salvati ci vuole un certo physique du role. Prima le donne e i bambini. Anche gli emo. E i dieci migliori cosplayer della fiera, complimenti a loro. E soprattutto quelli che “sembravano bellissimi”, per non deludere le fangirl. Ma, insomma, per me non preghi e non hai alcuna intenzione di salvarmi, non ce n'è bisogno. Dev'essere per via della barba. L'ho lasciata crescere mentre ero impegnato a salvarmi da solo, come Robinson. Di curioso c'è che mi guardi e ti senti in colpa, e non so se ti senti in colpa per quello che sono io, per quello che sei tu, o per tutto quanto non riusciamo ad essere. Non m'importa, però. Pietà, colpa, gratitudine, crollo delle alternative, una scommessa, il cavallo di briscola, quattro case a Vicolo Stretto: mi va bene tutto per non perdere ogni mano.

Poi ritrovo tutto quanto mi riguarda nell'indice analitico dei parerga e paralipomena di Maria de Filippi, e mi faccio un poco schifo. Ad esempio, quando mi rendo conto che sarei potuto scendere dal nostro interregionale praticamente ad ogni stazione e ad ogni stazione chiamare qualcuna e dire qualcosa del tipo “cinque anni fa parlavamo della catastrofe come se l'avessimo appena inventata, ricordi? Adesso sei la mia buona ragione per fuggire, e ti ho portato un libro”. E poi lei sarebbe venuta a prendermi e il ridicolo ci avrebbe uccisi entrambi a cinque metri di distanza, come una saetta. Oppure, dovrei quantomeno dare un senso alla paranoia che ti fa storcere il collo per strada, al delirio di lasciare aperta la porta del bagno mentre pisci per assicurarti che io non scappi nel frattempo. Dovrei separare nettamente, al posto tuo, l'ora in cui si può fare a meno di qualcuno da quella in cui si può solo fare a meno di tutto il resto. Ma l'idea di andarmene per farti capire fa ridere le capre, e io mi vergogno già abbastanza così.

La cosa che mi ulcera più il fegato, di questa faccenda come di tutte le altre, è che le parole non servono. Così mi vedo a sgolarmi come il miglior Chaplin sul balcone del Reichstag mentre, là sotto, i soldati arrostiscono salsicce negli elmetti, un paio di dadi neri e rossi di peluche dondola dal cannone di un Panther G e nessuno ha la minima intenzione di partire per il fronte. Ma la sera, al ristorante cinese, se Dio mi ascolta i camerieri si moltiplicano in milioni di Guardie Rosse e attraversano il mare a nuoto fino alle coste del Giappone, bruciano tutti i manga e tappezzano i muri di Realismo Socialista, figure marziali con le spalle larghe e il taglio di capelli d'ordinanza, ragnatele di rughe sulla faccia dei contadini, occhi mongolici a fessura, difetti e imperfezioni ad ogni angolo: un mondo in cui il tuo problema principale smette di essere il brufolo sopra il labbro che ti controlli allo specchio quindici volte in due ore, e diventa l'evidenza palese che non hai capito un cazzo di niente.

1 commento:

  1. L'esercito di terracotta è un soprammobile kitsch, i contadini caricature bidimensionali magnetiche da attaccare al frigorifero.
    Il brufolo è un attentato, uno spiraglio sui legami covalenti, una crepa digitale.
    Si capisce, i bracci della bilancia s'impennano a caso, oscillano e dondolano, ti deridono.
    Ogni portiera a cui ti appoggi è un capitombolo, ogni cigolante frenata un'effrazione - accorgendotene, hai prenotato una piramide di lacrime, stomaci contratti, respiri trattenuti per frazioni di secondo, vita e polvere (di pesce).

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