sabato 1 maggio 2010

La realtà tutta spietata

"ita res accendent lumina rebus."

Non so se dovrei ringraziare qualcuno, d'altronde è piuttosto frustrante pensare a quanto c'è di bello sotto i balconi. Quanto c'è di stoffa negli atomi della Grande Idea, oppure tra cielo e cielo, perchè di norma avanzano sempre frammenti di plastica grigia, e si inficcano negli ultimi occhi cielanti. Le scale sono cresciute nel deserto, una pianura di vele con la luna nel mezzo, ma alla luna nel pozzo, sotto i balconi cadenti, le stelle invecchiate, le pietre aguzze che cadono dal cielo, nessuno ha mai sufficientemente guardato a fondo, ossia nel suo scialle coperto di muffa e arcobaleno. Cieli bassi, falsi, cieli che non ricordano più nulla e rovistano a fondo l'anima fumosa di tutte le tempeste.
Non ci sono più tempeste. Però rovi intricati e tracolli sotto i lumi distanti attutiti dal tonfo inceneritore del giorno. Dove deve mai andare, noi che ci affatichiamo con duplice cura__perchè vada e vada bene? perchè tornino gli argobaleni di psichedelici sogni invocati per nome. Per dire "Ma magari.."(anche se lo sfigology di Jurambalco prevede che io dica -d'altra parte..-) dopo "oggi non c'è".
Una tonalità più bassa sulla torre stacca i petali, dai cieli bassi, con calore, immagino. Dalle montagne rotte di corde, dalla dispersione della forza, nell'aria zitta, dall'infinito chiasso. E' una neve nera, di volte celesti in spire che piangono sui colletti spiegazzati degli impiegati di borsa (la borsa chiude le contrattazioni verso le 17, mi pare, poi c'è la rivalutazione di chiusura). Dal ridere, l'eterno chiasso che si possono permettere gli dei.
E nell'estrema debolezza che rilutta la luna nel pozzo, scogli arroventati dell'unico fiore in mezzo al deserto: la coordinazione di più piani di inferno, spazio e tempo. Non la ginestra, che non si fa derubare e prorompe anche nella più lunga onda di vuoto. Dimostra, dico solo che c'è voglia di dimostrare nella ginestra, di sublimare la sconfitta.
Dall'orologio che batte il tempo, l'allegoria del tuono. Corolle sbiadite cadere con leggerezza infinita, per tutti i viali che non ci sono nel deserto, nella nebbia, nel buio.
Ci si perde per le tubature, le ultime strade del testo.
E nessuno mi toglierà mai dalla mente fino all'anno scorso, che l'orologio conta i passi e che gli dei calpestano solo margherite. Di giorno, alla luce del sole.

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