martedì 4 maggio 2010

Quella volta che andai al mare in bici.

Era ormai calata la notte e stavo camminando per tornare a casa. Lo stomaco ancora gonfio di cibo (tuttora ne risento degli effetti) mi rallentava sia nel corpo che nello spirito e sebbene procedessi su di un marciapiede angusto, che quasi non mi consentiva di poggiare oltre alle suole il bastone, ero come distantissimo dalle varie vetture che alla maniera napoletana mi correvano accanto. D'improvviso tuttavia molto docemente, sfocio in una piazzetta che non ricordavo avessi sul cammino (non ricordavo in realtà nemmeno il cammino, facevo sperimentazioni sull'automatismo) e altrettanto dolcemente svanisco.
Non ci sono più, il panorama perde di rilevanza, ogni cosa smette finalmente di affannarsi nel tentare di darsi una ragione e tutto, sebbene non perda di consistenza, si abbandona al non essere.
In pace.
Ho fatto dei calcoli e suppergiù devo essere rimasto in quello stato per una ventina di minuti. Fu un leggero sussulto di una delle palpebre a riportarmi alla realtà.
È quello che istintivamente mi dissi: «Sono tornato alla realtà.» e ripresi a camminare.
Il preciso istante successivo mi resi oggetto del più sincero ed impareggiabile tra i disgusti.

1 commento:

  1. par mi l'interessante è che ne hai fatto un racconto, uno sviluppo insomma

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