mercoledì 28 aprile 2010

Il bel marinaretto e altre storie della buonanotte

Ora, prima, guardavo alla televisione una cosa del Parlamento e mi dicevo che proprio non vale la pena, mi dicevo che è tutto finto come si dice a qualcuno quando ha paura dei film dell'orrore, è tutto finto. Mi dicevo che è tutto finto perché non ci credo, che le cose succedano fuori da questa stanza e arrivino strisciando la lingua sul pavimento come Filippide, a ragguagliarmi sull'esito di battaglie ben poco interessanti, e io posso rispondere sì, va bene, e tornare a controllare la produzione delle celle di energia in qualche videogioco, che così si guadagnano i soldi, nel videogioco. Non ci credo, Grecia o non Grecia, la Grecia di ieri e quella dell'altroieri, le persone possedute dagli dèi - indiarsi, numen inest, robaccia, Dante non piace a nessuno - che è la versione arcaica e pura e completa e nonebraica, nonduale del perdono tramite Cristo: perdono tramite assenza, ecco. Io non ci sono, non ci saranno i miei figli, non c'erano i miei avi sul balcone con i loro occhiali tondi, non erano lì, perdònati o Signore perché sei stato tu. Io, vedete, scrivo sempre le stesse cose e sono grato a Manuel e quegli altri due che non mi ricordo come si chiamano perché loro scrivono cose diverse e sommando tutto facciamo quasi mezza persona, diciamo un invalido di guerra. Sono grato, in realtà, a queste persone perché ho visto che la fila è lunga e sono tornato a casa, come faccio sempre agli esami, visto che ho sonno e c'è tanta gente. Gli altri, voi lo sapete, Sartre diceva che l'inferno sono gli altri: io poi dico che Sartre era un marxista, ecco, e che l'inferno qui risiede nello scioglimento dei nodi pragmatici, nella diluizione della storia. Io dico, forse proclamo, che c'è un solo crimine ed è il furto: ci siamo spartiti come ladroni, voi sapete. Ecco, guardavo quella cosa del Parlamento e pensavo che qualcuno mi ha scippato la storia, ma Sartre era un marxista e io no, io non sono un marxista, quindi io torno a dormire senza nemmeno allacciarmi le scarpe. Voi lo sapete, la mia Postepay scade nel Giugno del 2015: ecco da dove stilla la tristezza. Pensavo che ho quasi ventisei anni, questa volta, e i gradini del treno tornano a dimensioni naturalissime, pratiche, e che in tutta la mia vita non avrò mai più paura di cadere. Pensavo che è tutto finito. Scusate se non vi rispondo, intendo voi che scrivete i messaggi, ma non vi rispondo. Intendo proprio, scusate se non vi rispondo ma non vi rispondo. Mi annoio a morte e ogni volta che scrivo ne esce uno stream e voi lo sapete che lo stream è buono giusto per le ragazzine sedicenni occassionalmente gotiche e a volte no, raramente gnocche, ma non certo per qualcuno che ha santificato la propria irrilevanza. Un giorno, dico, mi siederò davanti a questa tastiera e scriverò una poesia, intendo un'altra. Vorrei dirvi, voi che avete letto, che non c'è niente di bello al mondo, non c'è mai stato e non ci sarà mai. Vorrei dirvi, voi che avete letto, di non mangiare dalle mani degli uomini e di stare attenti al veleno che sprizza in archi liquidi sopra i cancelli. Poi non so più niente, ho smesso di leggere i libri finché l'ennesima esplosione non li stamperà sulle pareti come ombre atomiche, e lì rimarranno e allora basterà la pietà e non la forza. Pregate che moriamo tutti il prima possibile, pregate.

2 commenti:

  1. a margine: può l'irrilevanza essere propria ?

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  2. "Non aveva lavoro, non aveva amore, non aveva desiderio, non aveva speranza, non aveva ambizione e nemmeno egoismo.
    Così superfluo come lui non c'era nessuno al mondo."

    Immagino si possa comunque aspirare al proprio primato.

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