mercoledì 5 maggio 2010

Neppure questa è l'acqua.

Più o meno tutti, qui, sappiamo di Wallace e dell'acqua. C'è questo libro, insomma, che non solo è di Wallace ma ha anche un titolo, e in questo titolo c'è una grande promessa, una promessa ancora più clamorosa della “Storia Universale Dell'Infamia”. Il titolo è: “Questa è l'acqua”. E indovinate? Quella non è affatto l'acqua, neppure lontanamente, è tutto tranne che l'acqua. Per fortuna, però, non è neppure Infinite Jest. (Sarebbe stata l'acqua, forse, se il Wallace in questione fosse stato Richard, quello di Parigi e delle 66 fontanelle). Possiamo facilmente immaginare, tuttavia, che se Wallace avesse preferito all'acqua, non so, il vino, allora più nulla avrebbe separato il suo libro dall'ultimo di Woody Allen, cinico ma pieno di buoni sentimenti e discorsi ai giovani. Questa introduzione è così giustificabile: non ci piace Wallace. A me, al maestro Frank, secondo alcune indiscrezioni anche a Marica, di sicuro ad Enixa. Inoltre, quando a scuola sostenevano avessi un cattivo rapporto con l'acqua, avevano ragione. (Marica ora non linkare la ragazza Diadora solo perché non si lava i capelli, non basta, per l'acqua occorrono maggiori credenziali). Detto questo: io mi sento in dovere, in qualche modo, di riparare al torto subito dall'acqua (ma anche da me e Frank ed Enixa e forse Marica). Mi vedo cioè costretto a tornare sull'acqua.

Poi spero di smettere l'acqua una volta per tutte, come un vizio assurdo o un vestito.

Disclaimer: a un certo punto scriverò “oggi”, così nessuno vorrà accusarmi di essere metafisico o metametafisico o metametacritico o, peggio ancora, famedoro (per precauzione, a proposito, mi asterrò dal citare Lukács. Al suo posto, mi impegno solennemente a citare almeno una volta BATTIATO).

L'acqua, lo sapete, è una realtà che ci tocca tutti (anche se non ci laviamo, nostro malgrado), che ci riguarda da vicino, e questa mi sembra un'ottima occasione per stare attenti e sentirvi socialmente impegnati, proprio come se aveste ancora i capelli lunghi e il quadernone sgualcito di Emergency. Badate: non sto dicendo che vi spiegherò l'acqua, perché l'acqua non si può spiegare, niente nessuno mai (non sto neanche dicendo che i capelli ricresceranno: non ricresceranno). Non proverò neppure a darvi l'acqua, ma tenterò piuttosto di dirvi l'acqua - magari non tutta, magari solo un bicchiere, che sembra una miseria ma vi sbagliate, un bicchiere è, de facto, un ingrandimento dell'acqua, l'acqua messa a fuoco, un primo piano, un particolare, un'acqua al dettaglio e nel dettaglio. Sto dicendo, insomma, che ve lo farete bastare.
Oggi ad esempio c'era un rubinetto, e non bastava girare, serviva tirare, spingere verso l'alto. L'acqua si creava cioè senza i giri, senza accartocciarsi, ma con uno slancio cervicale, si inarcava, si levava come se non potesse esserci acqua senza un soffitto a custodirla, come se il soffitto fosse per l'acqua un garante, come dio per l'etica, o per meglio dire un nume tutelare. Le macchie d'umido.
In tutta onestà, io non so se ciò che ho visto, oggi, immediatamente dopo lo stacco e i giri, è l'acqua, davvero l'acqua, o se invece è un bacino, la stanza premuta in una conca, una lordosi del piatto oftalmico, un accerchiamento olografico, una saturazione di ciascuna cosa ma come dall'interno, un embolo o ancora il sonno, che è una bolla e non si smentisce. Sta di fatto che l'acqua non si può vedere, ma solo avvistare (e avvitare, nel più fortunato dei casi: pensiamo proprio ai rubinetti) e a maggior ragione oggi, che ciascuna America è stata scoperta e nessuno grida più “terra”.
Questa non è solo l'acqua di oggi, ma un primo modo di estrarre l'acqua, che diremo “parabolico”e che sprigiona quasi un'acqua-vapore, che si sviluppa in altezza, un'acqua-boa (sia serpente sia galleggiante) e conclusa in se stessa, perfino autoreferenziale, autarchica, indipendente, un'isola; un'acqua-uovo ermetica, a tenuta stagna, liscia e impermeabile, capace di almanaccare il mondo tubo per tubo, uno stato sovrano, un potere centrale e un taglio dei ponti, la ragione intima di ogni embargo, un'acqua gerarchizzante e giurista e giurata, come un nemico o una promessa, infine costitutiva e, quel che più importa, integra.
Coi lavabi e le manopole, comunque, non abbiamo ancora chiuso. (All'acqua vera e propria, invece, arriveremo solo in un secondo momento). Abbiamo trattato l'acqua verticale, l'acqua analoga alle travi, etc.
Ma va detto che a volte succede il contrario, succede che uno debba spingere verso il basso, esercitare pressione (un po' come accade per il gas), esercitarsi fino all'acqua. Ecco un primo avvertimento: per l'acqua occorre allen(t)amento, non si può arrivare all'acqua impreparati, poiché l'acqua è liquida ma inflessibile e ci ripudia. Questo è un secondo modo dell'acqua, ed è una sorta di pantano, è una condotta più goffa, impacciata, pesante e in qualche modo enfatica; è un'acqua che esaspera la sua uniformità, la tende e la dilata finché non diviene lentezza.
(Un capitolo a parte, invece, meriterebbero i materassi ad acqua, che usano cioè l'acqua come carburante per innescare il sonno, e a dire il vero non si capisce dove finisce l'acqua e dove comincia il sonno, sicché il rischio è quello di dormire l'acqua, e non riesco proprio a figurarmi, a quel punto, cosa potrebbe succedere. Forse il mare. Di Dirac).
Risalendo la corrente, ci accorgiamo che non esiste divario tra l'acqua e una teoria dell'acqua, giacché l'acqua è sempre in teoria e mai in pratica, è impraticabile, come le strade dissestate e la neve. E' anche inservibile nella misura in cui non ammette culti, non può essere venerata, non ha vesti né vestali, si rende inavvicinabile, oppone realmente dighe alle nostre rotte (che sono poi ripiegamenti). Non possiamo toccare l'acqua, l'unica via è immergersi, ed è chiaro che tutto questo avvicina l'acqua a Dio (un Dio senza religione), limitando le possibilità di contatto alla mistica. Dicevamo che non è possibile comprendere l'acqua, che l'acqua è insolubile, e non parlavamo a sproposito: nessuna abduzione, ma piuttosto abluzione; bisogna essere sommozzatori, non logici.

Ma veniamo all'anatomia dell'acqua. L'acqua è quella pellicola, quel diaframma che si frappone tra noi e il mondo e che non è il freddo, o almeno non del tutto. Questa si può dire, a ragione, una buona approssimazione dell'acqua. (La differenza principale che sussiste tra acqua e freddo, e che ci permette di distinguerli con discreta precisione, sta nell'evidenza che l'acqua può essere “aperta”, “chiusa”, “messa”, “controllata”, “buttata”, "tirata" - a me è capitato addirittura di “stringerla”, magari al petto – mentre niente di tutto questo può essere fatto al freddo. Abbiamo dunque sull'acqua un margine di intervento, di partecipazione che col freddo ci è invece precluso). Ma noi vogliamo essere più scrupolosi, vogliamo andare a fondo, vogliamo affondare. Chi tra di voi si è mai imbattuto nell'acqua allo stato “selvatico”, se così si può dire;, chi ha sbirciato l'acqua anche una sola volta, anche di sfuggita, sa che ai lati è squamata, che normalmente ha la forma di una spirale e quando e dove finisce si nota distintamente una coda. Se invece l'acqua è bloccata, allora si compatta, si infittisce, sigilla le scaglie, si contrae, come in preda a un crampo, si carica a molla e sembra sul punto di esplodere da un momento all'altro. E a lasciarci sbigottiti non è mai il contenitore ma il contenimento, questo accumulo impensabile di (es)tensione che si eterna, oserei dire si tramanda, e non si scompone davanti a nulla, neppure ai nostri pigiami a righe, ai nostri spazzolini sciupati, ai tubetti Colgate, e viene da pensare quasi ad una dignità dell'acqua, a un portamento, un contegno. (L'acqua, almeno quella nelle bottiglie, ha un'etichetta vera e propria, fateci caso). L'ipotesi più attendibile, a questo punto, è quella che vuole l'acqua come l'antichità che si conforma (e conferma) non tanto al presente ma alla presenza, non al sito, alla falda temporale, ma allo scandalo. L'antichità infatti non appartiene al passato ma all'inesistenza, consiste nella semplice continuità della scomparsa, cui certamente non si può porre rimedio, poiché la memoria si arrende non già dove è passata la Storia, ma dove la Storia si è stabilita. Non possiamo collocare l'antichità davanti a noi e neppure dietro di noi, possiamo tutt'al più porla sopra o sotto o intorno. (Attenzione: non è una circostanza ambientale, un contesto, è invece un testo, una nota notte a m-argine, un fattore esogeno o, meglio ancora, idrogeno). La faccenda assume quindi i connotati di un assedio, una guerra realmente "fredda", e non di uno scontro - tantomeno di un dialogo. Similmente avviene per l'acqua, che infatti non è in discussione: e se è vero che noi possiamo passare sopra all'acqua, possiamo attraversarla o sorvolarla, occuparcene o ignorarla, è altrettanto certo che l'acqua non passerà sopra a noi, non farà finta di non vedere, e se non laverà (che è altra cosa da “levare”, è più “tirare a lucido”) le nostre colpe, non è detto che voglia graziare anche i nostri capelli. Qui serve un raccordo, una giuntura che ci porti un passo indietro, dall'acqua all'antichità. L'antichità, dicevamo, è questa continua proroga dell'attimo immediatamente successivo, è barare ma fuori dai giochi, muero porque no muero, quello che l'universo sarebbe stato senza il cedimento della creazione. La cosa peggiore, infatti, è quando le acque si rompono, improvvisamente plurali, divise, faziose, quando si scuce la falla e cede l'ordine, il criterio dell'acqua, ed è allora che accadono le cose più terribili.
L'antichità è, anche, un appuntamento costantemente mancato, la vita in rinvio ma a ritroso, questa colonia della morte nella Storia, la morte – è il caso di dirlo – sotto mentite spoglie o, più precisamete, il bastione, l'avamposto da cui irradia i suoi tentacoli. Ma, intendiamoci, non ci tocca, neppure ci sfiora: diversamente, ci sovrasta. (Penso al deus sive natura spinoziano e alle sue increspature – una creatura acquatica - e concludo: deus sine natura).
Io non so se credete ai mostri marini, o almeno al calcare, ma sappiate che i tubi servono proprio a questo scopo, a proseguire la morte come un discorso, a consentire una diffusione capillare non esattamente della morte quanto del suo elemento, del suo pronostico; a permetterne anche un deflusso, una scappatoia – non l'uscita d'emergenza ma l'emergenza dell'uscita. L'accadimento non storico ma istoriato, scalfito, la selce scheggiata, l'amigdala poi conficcata sopra il tronco cerebrale, la visione dell'allarme.
Vi voglio mettere in guardia: la morte per acqua è davvero una storia di commerci, di biremi. Immaginate l'acqua, se volete, come un furbo contrabbandiere macedone, dal momento che l'acqua arriva ma pretende qualcosa in cambio, è assetata (eheh) di conquista, è imperialista, tende ad occupare tutto lo spazio e nessuno può assicurarci che un giorno non reclamerà proprio il nostro.
Niente abissi, però. L'acqua è proprio una forza opposta agli abissi, una tensione del tutto superficiale, l'acqua è anzi sfacciata, è tutta in superficie, sta in alto, più in alto della terra.
Come se non bastasse, tutto questo di norma prende l'esatta forma della nostra vasca da bagno, e allora come trattenere lo sconcerto. (Io mi consolo pensando questo: a quanto ne so, non esistono vasche da bagno con le fattezze di Nayuta). E se pensiamo che l'acqua ammonta a tre quarti della superficie terrestre e, soprattutto, all'interezza delle terre emerse - in particolare i bagni, allora sarà chiara l'entità della minaccia. Per darvi l'idea dell'enormità dell'acqua basti questo: è quasi sicuramente più grande delle balene - anche se di poco.
E' vero, abbiamo preso le nostre contromisure, abbiamo argini, grondaie, canali di scolo, questi tentativi laterali di formare fermare l'acqua, di educarla, disciplinarla, di iscriverla nel piano cartesiano, di cavarne una geografia leggibile. Non sto dicendo la forza della natura, gli uragani e POMPEI. L'ho già scritto, e lo ripeto: distrazione, non distruzione. L'acqua sostanzialmente passa, e così noi. Non si ferma e non si sofferma, non indaga e non studia. Non si muove dal letto e non va neppure agli esami. Sempre come noi. E ora piove, lo giuro, quindi ho finito.


Non penso, in questo modo, di aver sciolto o sezionato o illustrato l'acqua (ma giusto un abbozzo, uno schizzo), perché l'acqua è inestricabile. Non penso di averla esaurita. E nessuno di voi, infatti, lo ha creduto, e mi rendo conto che a questo punto potrebbe essere deludente, ma vedetela così: significa che ne resta in abbondanza, che “ce n'è per tutti”, direbbe Zuccaro (direbbe anche “fatevi sotto che”, prima). Non pretendo di essere stato adeguato, o consono, perché l'argomento lo impedisce. Non vedo come potrei essere appropriato all'acqua. Lo specifico perché si potrebbe pensare altrimenti, si potrebbe pensare che io sia un acque-dotto.
Volevate l'acqua, ed io vi capisco, ma dovrete accontentarvi di un ri-scontro parziale (e non è neppure buona parte, o la parte "buona").
Ciò che mi auguro, umilmente, è di aver corretto quanto era corrotto, quello sgarro all'acqua che parte dai procarioti, passa per Wallace e sbuca direttamente dalle nostre docce. Una cosa da niente, come bere un bicchier di - non preoccupatevi, sembra la fine e lo è. O voi tutti assestati venite all'acqua.

5 commenti:

  1. Mi è piaciuto moltissimo, più di qualsiasi altra cosa che tu abbia scritto! (Forse perché il resto non l'ho letto, ma perché sbilanciarsi ;)
    Mi piace questo tuo destreggiarti tra le parole, questo tuo giocarci un poco wit e un poco heap - come fossero palline da giocoliere di qualche tizio con la maglietta dei LED ZEPPELIN! -, ti rende fluido (come l'acqua!) e pare ingabbiarti al contempo, sei come in un acquario opaco e polimorfo raggiunto da tubi e tubicini a senso unico.
    E queste tue analisi tanto a portata di toporagno (che è un'immagine casuale dell'uomo e liberamente interpretabile) sono vitali, eredi lontanissime di un pangasio accanitamente subissato di salse terapeutiche e antiaromatiche - talvolta di pesce, da pesce e insomma.

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  2. vendersi a pezzi, i pezzi buoni, e darli a un rifugio abissale di pixel lontano una distesa di ghiacci, peggio del "male" che incarna la carne. Debutto rosso, non il tuo.

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  3. il miglior saggio sull'acqua che sia stato scritto negli ultimi cento anni.

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  4. Fiffo, ti ringrazio per i tubicini e per tutto il pesce. L'Anonimo mi sembra proprio scemo ed anonimo, anche se so chi è e gli ho anche già detto "scemo", e non vedo perché ripetermi. Idem per LMVDM, che tuttavia ha ragione. Infine, certamente piplup è come implicito in ogni acqua. In questa comunque è esplicito, perché ci tenevo molto.

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