domenica 3 gennaio 2010

Una mattinata

Accarezzato dalla brezza mattutina, cullato dal rumorìo del boschetto vicino, Claudio si avvicinò con passo sicuro - e quasi solenne - al grosso faggio.
L'albero si trovava in cima ad un prato in salita, e il ragazzo ebbe da faticare, tanto che quando lo raggiunse dovette appoggiarsi al fusto per riprendere fiato.

Claudio non era esattamente in forma. Intendiamoci, non era un ciccione incommensurabile, non uno di quei fenomeni da baraccone da fast-food americano.
No, era piuttosto un rammollito. Un metabolismo nella norma, una struttura fisica altrettanto nella norma. Era stato reso soffice, solo quello, da uno stile di vita sedentario.
Che colpa ne aveva, del resto, se le corde del suo animo versatile e magmatico venivano pizzicate con tanto vigore da quelle attività che necessitano di una lampada e d'una sedia soltanto? La letteratura, in ogni sua forma, era per lui tanto concreta quanto lo era la realtà, e certamente più varia! Questo aveva constatato nei suoi diciott'anni, e davvero non ci aveva mai trovato niente di male.
Pertanto, il suo vivere era costellato di fughe virtuali impilate l'una sopra l'altra, fughe dai confini indecisi e mutevoli, che talvolta penetravano l'una nell'altra, a volte si confondevano anche con la sua vita, e di certo lo influenzavano in ogni suo gesto, a partire dalla quotidianeità.
Il termine 'fughe' trasmette forse una sfumatura inappropriata, carica di malizia e d'insoddisfazione: ma queste non tangevano l'animo di Claudio, giacché egli non percepiva alcuno iato tra le varie esperienze che s'impilavano dentro di lui, fossero esse vissute sulla pelle o dentro le fibre del suo pensiero.

Il giorno prima, Claudio si trovava nella sua casa di montagna, insieme ai nonni. Era arrivato in montagna dopo un viaggio che gli aveva occupato metà mattinata (mentre l'altra metà l'aveva trascorsa raccogliendo frutti di bosco lì, nel giardino), e se ne sarebbe andato il pomeriggio del giorno successivo. Aveva portato con sé, per ingannare il tempo, Il Barone Rampante di Italo Calvino, e lo stava leggendo davanti ad un focherello crepitante. Più o meno a metà del libro, Claudio incontrò un difetto di stampa, tale che tutti i quarti successivi erano parte di un altro libro. Un po' infastidito da quell'errore, Claudio chiuse il libro e lo poggiò sul tavolino, sbuffando. Quella situazione gli ricordò allora l'analogo difetto di stampa in cui incappò il 'protagonista' di Se una notte d'inverno un viaggiatore, dello stesso autore del libro che stava leggendo. A differenza sua, tuttavia, Claudio non era in condizione di raggiungere la libreria per farsi cambiare il volume. Sorrise, incrociò le braccia e posò lo sguardo sul fuoco. Le lingue colorate di quest'ultimo l'avevano sempre affascinato, e anche oggi catturarono la sua attenzione per il modo in cui danzavano nell'aria e si proiettavano verso l'alto, per lo scoppiettare delle pigne che erano state lanciate nel camino ad alimentare le fiamme, per via di quella luminosità cangiante e instabile.
Ritrovava, nel fuoco, se stesso: la sua mente leggera, tanto da sollevarsi verso l'alto, e duttile, tanto da fondere ricordi, sensazioni e riflessioni ad ogni nuovo respiro. Ciò che accadde anche allora, tanto che la lettura interrotta poco prima risvegliò in lui il ricordo del faggio su cui a sei o sette anni d'età era uso arrampicarsi. Il tepore delle fiamme diradò allora una foschia di vecchi ricordi, quel bagaglio d'infanzia felice che era suo e suo soltanto, cui si abbandonò dolcemente. Fu forse lo scoppio improvviso d'una pigna, che lo fece sobbalzare, a scombussolare i suoi pensieri ed il suo umore, e per questo se n'accorse: desiderava arrampicarsi su quell'albero ancora una volta. Era certo una persona diversa dal bambino d'un tempo, ma quel pensiero diventò un chiodo fisso fino al termine della giornata, e una volta al buio sotto le coperte, nella cameretta che era sua da sempre, decise che al risveglio sarebbe salito sul faggio.

Ed eccolo a riprendere fiato appoggiato alla corteccia, in parte intagliata da innamorati d'altri tempi. Sollevò il capo e volse lo sguardo tra le fronde rigogliose, attraverso le quali s'infiltravano raggi di sole ancora giovani. Claudio si fece coraggio, sollevò la gamba ed appoggiò il piede su una sporgenza all'altezza del suo stomaco, fece un leggero balzo col piede rimasto a terra e s'aggrappò con le mani ad un ramo molto robusto proprio sopra la sua testa. Appoggiò sulla stabile sporgenza anche l'altro piede, e quando si sentì sicuro alzò di nuovo una gamba - tenendo ben stretto il ramo - e spostò il corpo in cima alla parte principale del fusto (all'altezza di circa un metro e ottanta), da cui gettavano tutti i rami più robusti. Uno di essi si diramava ulteriormente in un ramo ancora molto robusto, e per questo Claudio lo scelse per continuare l'arrampicata. Le mani gli tremavano un po', per una leggera emozione o forse per lo sforzo, ma riuscì velocemente a raggiungere il ramo appoggiandosi a molti altri e con non eccessiva fatica (l'albero era molto adatto alla 'scalata'). Si trovava già molto in alto, quindi si sedette lì dove era arrivato e rivolse gli occhi verso la valle del Casentino, che l'aria vitrea permetteva quel giorno di apprezzare pienamente. Il suo sguardo volò su quei paesini, poi sui vasti boschi, sulle curve dolci dei colli, su quelle più dure di alcune montagne lontane, sul candore delle poche soffici nuvole, e si posò infine sulla propria casetta, a poche decine di metri da lì, che veniva amabilmente incorniciata dalle fronde da cui gettava lo sguardo.
Annegando in un mare di gioia e nostalgia, Claudio si accorse che la casa su cui posava gli occhi non era semplicemente una casa: era la fonte, la matrice, da cui tutto ciò che suscitava in lui quelle sensazioni aveva attinto negli anni. Solo allora gli apparve con tanta chiarezza, fu un'epifania così vigorosa da immobilizzarlo e struggerlo. Si accorgeva che su quell'albero ci si era arrampicato innumerevoli volte, sfogliando pagine e fotogrammi partoriti da menti lontane nel tempo e nello spazio. Apprendeva che quella casetta di montagna, quel suo posto delle fragole, era conficcato tanto in profondità nella sua anima da poterlo definire una parte di lui. Visse per pochi istanti sulla pelle una sorta di panismo dannunziano, si sentì albero e monte ed erba e casa. Poi, quell'accesso epifanico di forti emozioni scemò, e Claudio, con un sospiro, sintetizzò il suo stato d'animo in un sorriso, che fu poi digerito e rasserenò il resto della giornata.

Scese dall'albero e rincasò.
Prese un foglio e una penna dalla scrivania del nonno e scrisse un testo identico a questo.

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