giovedì 21 gennaio 2010

Saggistica post-bilancio: L' Hentai come arte della guerra

Gli occhi negli occhi affilati, un vuoto areeo che circonda la terra col cranio frantumato del sole, la protezione del caldo. Da due crocette d'inchiostro rosso lo stratega mobilita l'interesse altrove: su una patacca di sugo stantio. Non acido, proprio "stantio", come le cantine sotto il livello del male (che è proprio "male"), in trincea, le quattro di pomeriggio più lontane che si possa pensare. Processioni con i bulbi rossi, infossati dal freddo nascosto tra i nodi dei capelli; ampie direttrici crude e virili che spaventano le pupille circondate dal sangue, gli usberghi affacciati al secolo, pendenti. A volte si inorridiscono al punto di dividere la carne, il morso della bocca dirignata di un compagno. Una paura Controvento: l'apogeo della vittoria.
Dalle palizzate del monte rotolano a valle palle di fieno (è musicale: un coraggio, una noia, un'attesa..), il suono di quantità granulari si avventa sul silenzio -dagli scarponi-, un sole tintinna sulla punta della lancia arrugginita, l'armatura riflette il suono simile allo scalpiccio della gente sopra stendardi a brandelli. Criptato. I comandanti, l'esercito e quelli a cavallo, tutti con la loro criniera posticcia, sotto l'afa soffocante, che decifrano pazientemente l'incandescenza dell'aria fino alla remodulazione ASCII. Lo 0 e l'1, Questo e l'Altro -pellegrinaggio al monte Tabor-.
Sono delle liane ad unire le armi, i denti a vibrare sui cannoni quando tutto l'universo manicheo della scacchiera esplode nel cerebro di una sola pedina.
C'è un'insanità nel dolore, una supplica nello scongiuro. Anche la violenza ha la sua ellisse attorno ad infiniti mondi prima di richiamarsi all'interno dell'arena, nel casco carminio abbandonato sulla forca, nella finezza della prensione del piccolo portabandiera con i calzoni slargati. La mano lenta: un adagio dei gesti infiniti.
E arrivati iniziano il prima possibile a sventolare l'alabarda; l'importante è guardarsi poco, intuire geometrie e finesse, rasentare le delimitazioni dello spirito.
L'attimo di reciproca identificazione rispecchia un suicidio tra le carte del tempo nell'infallibilià dello stratega affannato su un piatto stracolmo di amatriciana, l'affondo della forchetta col desiderio carnale, le squame al fianco di ferite purulente che cercano istancabilmente possesso sul nemico. "Nemico" (ne-mi-co) designa tutto ciò che si vuole, uno stakeholder, il mittente di una forte pretesa e poi un'inversione di campi, rivoluzione su bianchi o gialli. A seconda di quale deserto si stia parlando.
Il contatto visivo scompare nel desiderio, diventa esso stesso pura brama, sudorazione a fior di pelle, sul filo della sega: un impeto metallico, ma lascivo. La luce soffusa fa del conturbante l'arte di apparire nascosti dalla scimmia: una coda d'ombra solleva la perpendicolare al cielo, che poi è una simbologia del sogno, uno spazio freudiano, la Venus Meretrix della morte in battaglia.
Corpi. Bisogna fracassare la testuggine così come una dolorosa penetrazione senza sensi, il muscolo che scatta ("clak", comunemente l'onomatopea viene resa con "clang"), rompe una tribolazione malsana su carta carbone -dulpicare ciò che duplica-. L'esplosione del padiglione d'oro colora lo squallore dell'alba, la genesi è giustificata dalla polvere che allinea le trame insignificanti su cui scorrono i quadricipiti disarticolati. In fondo ad ogni vicolo cieco c'è una seconda strada verticale che a volte assomiglia all'affresco stirato del tramonto, un sipario trionfale, orgasmo nella gloria. L'ombra alta della bandiera sfiora il limite del mondo -vignetta all'interno di galassie sovrapponibili- (harakiri/karakiri improvvisato: enfasi).
Io non so bene come si faccia la guerra, cioè, non mi si può chiedere un saggio sulla guerra, ma penso che presi due oranghi con un bastone in mano di possa già parlare di guerra. Però so disegnare hentai, il che in definitiva è la stessa cosa.

3 commenti:

  1. Quanta saggezza nel corpo di un pugile, sono i cipressi a illuminare costei, i cipressi nella trincea, dietro le ante di un armadio.

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  2. E poi ci sono quelle della dispensa, come le ali delle tarme del cibo.

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