domenica 20 dicembre 2009

Choralyst - Ostensori di nebbia


"Per favore non date da mangiare ai troll"

Non si raccolga sigarette per strada, è un'offesa alla vedetta dei lampioni, le vecchie mura ce la faranno pagare. In sogno. Con un tetragono, geometrismo crismatico degli equivoci.

Vedono. Certo non vedono tutto, ma già il fatto di "vedere" rappresenta in sè una novità e una condanna. Invece gli uccelli scrutano, rovinano i simulacri su San Marco, frammentano le sfaccettature dell'acqua in voci ancora più piccole. Sospetto che nel canto delle ali un certo incantesimo risponda alla vanità dell'Oceano, la seduzione suadente che procacciano le illusioni attorno al fuoco non riempie i canyon della stessa solitudine?
Scrutare è la speranza dell'analisi, un gesto fine, puro, quindi tagliente. Le cose pure sono taglienti, solo gli specchi stregati rispondono con rose alla propria regina, l'elogio spinge le sue sere oltre il dolo, altere visioni dell'amabile, incendi d'ombre ortogonali. Io non mi permetto mai di indagare, nemmeno con gli occhi; se una soglia si screpola in cima al campanile ho cura di voltarmi, rispetto queste cose che non hanno pudore di mostrare la loro invisibilità sotto le losangature boreali, ma è finita lì. Se osservo qualcosa faccio riferimento alle ellissi eteroclite della materia, i flutti concatenati di innumerevoli soli ibernati (le stelle vanno in letargo nei cassetti) quindi in fin dei conti non focalizzo proprio nulla, mi godo il vago macerato dai tetti.
Per me il tutto rappresenta una distesa partitiva di numeri primi, l'infinità discreta dell'indivisibile trascesa da qualche parte nel deserto atomico. Dispersione di una fuga nella fuga. (Sto giocando con le parole, ma ci si perde anche ascoltando Beethoven) Ricordo l'androgino platonico, adesso che il tutto ha smesso di essere la somma delle parti si sono scambiati i ruoli, i tronchi degli alberi hanno smesso di pulsare e quel qualcosa in più rende inaccettabile ogni divisione, i conti si ritorcono contro loro stessi quasi perforando la retina. Quella finestra che emana l'effluvio delle orchidee ha superato ogni livello prismatico per deflagrare l'innocenza primaverile, per questo una stagione non è l'evento atmosferico racchiuso nelle variazioni bizzarre di conchiglie in fiocchi nivei; gli elementi si raggiungono, i viaggi incomparabili delle risonanze abitano l'osservatore ed ogni cosa percepita non è più sè stessa, o meglio, è se sè stessa e una visione. La predizione dicotomica naturale concerneva un ordine molto differente, in cui proliferavano i pari, l'armonia, il tempo scevro della storia che gli fa da corpo e le bilance tendevano i piatti sul livello del mare. La trinità è la prima eresia.
Siamo nell'occhio della maledizione di Mida, ciò che tocchiamo cambia di forma proprio perchè lo tocchiamo. Portate a vivere i vostri cappelli altrove, ad altre piogge battenti. Maya abita tutti i cinque sensi che si perdono con la morte, ma si sbagliava Trofimov, non ne possono rimanere novantacinque da inventare, forse novantasette.
Tra le parzialità della ragione si alternano selezioni variabili, elezioni alla rovescia. Passano davanti ai lampioni mariti e mogli senza figli, roghi post dannazione, il terzetto è una degenerazione dualistica congenere a sempiterne corruzioni, i katun dei secoli, le ali fradice delle api che torturano un fiore. Datemi retta, ai tempi in cui il tempo sussisteva incorporeo l'universo era uno scontro tra potenze mentre adesso corriamo alla ricerca di un logaritmo con argomento negativo, lo specchio ci ha spezzato, gli occhi dei lampioni trasmettono ancestrali cecità della luce.
I numeri primi sono una sillabazione rotta, combinazioni isolanti, indispensabili teschi; se si potesse rincondurre la loro genealogia al malinteso allora arriverebbe a casa mia. Gli uffici accesi dopo le ventitrè appartengono ai nervi contratti dei buoni dispari di famiglia, alle sfilate i dispari si applaudono vicendevoli, lo spazio è infinito perchè è pari.
L'ago della bilancia alberga qui, ai piedi dell'umida vetustà di questa raccolta cittadina che lentamente si sveglia dividendosi per due. Un gruppo di vecchietti claudicanti mi ha appena sorpassato.
Anche gli angeli si appoggiano sulle spalle dei compagni per dimenticare le puntuali divisioni sul nulla, i primi esistono da sempre, sono le anime che non si muovono da sole. Se i grandi pensieri si misconoscono autonomamente è perchè consistono nell'assemblaggio di numeri senza immagine, incomprensibili negazioni, casualità indispensabili alla naturale somma delle eventualità. Non zero, forse novantasette.
Novantasette modi di udire il tonfo della nebbia e il coperchio della bara che si chiude.

Nessun commento:

Posta un commento