lunedì 22 giugno 2009

L'Ariano dei poveri, ovvero un discorso sulla circolarità del ridicolo

You are my brother and in war we proudly sing.
Our Cause shall never tire.
Our gift to you we bring:
A holy creed of Racial purpose, as a mighty Race to defend.
And when we fly our holy flag
Their oppressive reign shall end….
Victory Day, Prussian Blue

Sia chiaro, sul comodino tengo una foto di Hitler. E' impressa sulla copertina di un libro, un glorificato romanzetto ucronico: La parte dell'altro, autorato da tale Schmitt. Questo tomo (cinquecento pagine, o giù di lì) è esattamente sotto l'abat-jour. Mi serve che sia sollevata rispetto alla linea del cuscino, per ragioni di diffusione della luce. Simbolismi troppo facili, da teosofia ammobiliata, qui. Mi capita anche di scoprire queste due ragazzine americane che cantano folk neonazista (si chiamano Prussian Blue, andatele a cercare). Curiose scoperte. Il discorso è che tutte le ermeneutiche possibili si riducono alla dialettica fra ridicolo e tragico. A Pirandello, che forse decifrò l'universo. Ma non il tamburo del progresso, il trionfo risolutore hegeliano. Non l'anima del mondo. Piuttosto, il muco del mondo, una bava di lumaca. Una dialettica circolare che al più si sintetizza in diminuzioni, un decadimento atomico che depriva il tragico della tragedia e stabilisce il ridicolo come forma sclerotizzata del reale, nemmeno materia per l'occasionale Apoteosi di uno zuccone. Questo processo ermeneutico, ovvero ogni processo ermeneutico, uccide la letteratura. Che la letteratura sia il doppelgänger dell'universo, la moltiplicazione che ne annuncia la morte (e l'empietà, si direbbe ad Uqbar) è cosa plausibilissima. E invece quest'universo vivo vive del proprio seppellimento, una categoria onnicomprensiva - la sintesi di cui sopra - che neutralizza la necessità (in quanto portatrice di tragedia) e scioglie a priori l'enigma. Una panacea.

Le ragazzine neonaziste, dicevamo. Resto qui a chiedermi se dopo l'irrevocabile spiraleggiare del tragico nel ridicolo - e il tragico è l'anacronismo, il Gotterdammerung, l'evenzialità stessa delle ragazzine; e il ridicolo è lo stesso ma visto dall'interno, con l'occhio alla milza e ai ventricoli - ci sia luogo a procedere per la bellezza. O meglio: appurato che tutto si risolve in un piagnisteo devastatore, cosa sopravvive del letterario? Un'evoluzione, forse, lo stesso processo che ha insegnato il volo ai dinosauri, diminuzioni astute, nuove nicchie ecologiche. Semplici e quieti, potremmo cercarla negli infiniti inventari crepuscolari - Loreto impagliato e il busto d'Alfieri - così affini alla tassomania cinese. Come dire: è lì, è ancora lì, nella catasta. E vale a dire che la sopravvivenza della letteratura risiede nel numero, nel diligente lavoro di compilazione degli exempla, cifratura con soluzione pregressa, storia per la storia, naturalismo. Sto dicendo che l'accumularsi di cose catalizza bellezza. Se la bellezza è l'altra faccia della non-funzionalità, allora tutti i libri del mondo sopravvivono nel registro. Di nuovo, il doppione. Qui, di nuovo, il paradosso di Zenone: tutte le cose vengono ri-dette, in un'ebete processo performativo (meglio, controperformativo) che tende al tautologico - quelli inclusi in questa classificazione - e grazie al quale, per osmosi semantica, l'oggetto perviene alla stessa inutilità del suo nome, diventa rimando, nota a margine di un altro inventario, sottinteso. La danza dei dervisci che avvicina a Dio. Conclusione: per quanto l'universo si minimizzi - e lo fa riadattando tragico e ridicolo a una comune banalità - non sfugge alla propria elencazione. Questa è la via di fuga della bellezza - che, sia chiaro, è una prefigurazione della fine, la tensione tra il non-ancora-niente e il non-più. E in fondo, nelle nebbiose lande del Nilfhel vagano i morti, oggetti originali e primi.

P.S.: e le ragazzine, in tutto questo? Le ragazzine sono figure di ybris, finiscono dritte nell'orologeria divina che stritola ogni presenza deviante tra gli ingranaggi del tempo. Un'icona del fuori-luogo, dello smarrimento di Caino, di Edipo, dell'uomo sacrilego o del titano. Prima che si effonda la nebbia del ridicolo, pensavo, prima che non resti altro che catalogare le rovine à la Beckett, c'è forse ancora un istante per un senso oltremondano ed eretico delle bellezza. La bellezza come non-mai. E quindi, mitopoieticamente, sempre. Sieg Heil.

3 commenti:

  1. Commovente, credo sia l'effetto della salsa indiana.

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  2. da ribattezzarsi, ormai, Salsa del Luminoso Ganesh.

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  3. Ai nostri confini un dio sorge, o qualcosa che lo sostituisce. Ed eccolo, questo sostituto, questo dio davvero “absconditus”. Il logos (il “verbo”, la parola-Dio e di Dio) come riserva metafisica.

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