Ordinata in quest’unità di tempo,
l’infinita quiescenza delle fronti
è una catena di neoplasie (orditure
replicanti, permeabili) – muscoli
mimici; qualche bocca mutilata
si inarca a raccolta dei flussi –
una ridda di protesi caudali,
metacrilati e basalti alle correnti
dove convergono i rifiuti:
a noi i resti abissali, ancora a galla
in un continuo dispari, nell’attesa
di una violenta saldatura – pressioni
a rompere i coralli, atolli corrosi
in un pudore di crolli concentrici,
esattezze colte a vorticare
alle stesse velocità di deriva –
e ora sposta il peso addosso a Dio
in quei trenta metri verso il basso,
dalle forche dei processi sotterranei
– ogni singolo un catetere di sonno
irrigidito, a comprimere i fondali –
così, gonfi quasi come gli annegati,
noi; reti di plastica o cautele
oltre le sezioni di una barriera:
a separarci dalla prossima deriva,
solo l’ampiezza e la durata delle sbarre
annidate in coste, porzioni di trascorso;
a noi, di nuovo, il tesaggio delle àncore
a mare, sulle ultime sponde, un approdo
devastato dal verso flebile dell’avvenire.
giovedì 1 ottobre 2009
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