domenica 9 agosto 2009

Farsi degli amici

È il titolo di un autoritratto di Savinio. Le Meditazioni di Kafka, il libro del ’19, sono dedicate a M.B., Max Brod, l’amico che ne pubblicherà gli scritti dopo la morte. Nelle sue interviste Borges parla degli amici di gioventù e si diverte col suo consueto paradosso per cui tutti gli uomini non sono che un solo uomo. La solitudine è l’attributo del Dio Greco, ricorda da qualche parte Savinio. Di lui e di Jorge Luis, Sciascia dice che hanno in comune di coltivare la letteratura come fosse un discorso tra amici, fatto a voce. E c’è lo scivolare, tanto di Kafka quanto di Nivasio Dolcemare, costante dall’ “io” all’ “egli” e viceversa. Nelle meditazioni kafkiane, nelle interviste borgesiane, nella autobiografia metafisica di De Chirico-Savinio, il fatto concreto, quotidiano, naturale, sembra il modo di parlare in maniera non astratta di quello di comune che questo nasconde, ancorarsi al fatto per mostrarne l’ombra. Cos’è questo primo Novecento che ribalta la malattia romantica, il chinarsi sui propri tramonti ? Sembra suggerire, così, uno sberleffo, che Farsi degli amici è il risvolto della solitudine, che l’essere soli è quanto ci accomuna. Pensavo così andando in macchina a Prato, parlandone con mia mamma, e poi l’ho ripetuto su messenger a una Livia perfetta sconosciuta, e anche a voi ne parlerei a voce o equivalente, ma nella confusione e nel groviglio, come non mi son spiegato a loro, non mi spiegherei.

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