giovedì 5 novembre 2009

Siamo svegli, ovvero un discorso intorno alla poesia

Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.


Santo Dio. Santo Dio. Non è davvero servito a niente. My nerves are bad to-night, come si dice. Il punto, signori, è quando uno per qualche anno ha scritto poesie e poi ritornano, come la notizia della morte della zia che avevamo lasciato sul balcone, protetta dall'insormontabile montatura marrone degli occhiali. Lì l'avevamo lasciata, e così la notizia delle poesie torna, indistinguibile dalla sua morte. E voi, signori, voi scrivete qualche poesia, adesso. Io lo so, vi ho visti. Eravate con me, sulle navi. Questa vorrebbe essere la prognosi. Come ci si sente quando non si possono più scrivere poesie. Ma no, non è poi che lo si possa dire. Ma per l'amor del cielo, sappiate che la poesia finisce. Come l'acqua per la notte. Come la naftalina nei comodini. Deperibile, è una bella parola. Se permettete, c'è un complemento d'argomento, di mezzo. E dunque se ne parla, mentre tutto si sfibra ne parliamo. Siamo educati, abbiamo addosso i gingheri di Amleto. Guardate come crolla, guardate come i topi zampettano altrove. Guardate, parliamone, un dibattito, una tavola rotonda. Io chiedo spesso, alle donne che amo - che ormai sono migliaia, è proprio vero - io chiedo: ha fatto bene Parsifal a partire, nonostante la madre piangesse?

Pregate che i calamai spariscano, non muovetevi di un millimetro. Alla poesia si incolla la vita come alla carta moschicida. Sia chiaro, è pericoloso. Quando andrà via, sarete meno che prima. Non rileggetevi, è atroce. Violento, profanatorio.

Il triste vento. Questo è un mondo, davvero, senza lirica. Un mondo che si ordina e si dispone per impedire la lirica. Perché come ricorderete, gli eventi sono indistinguibili dai sassi e dalle loro parabole, e la matematica non si nasconde i genitali ed è univoca fino alla crudeltà. Io credo invece che vi siano molti peccati originali, e ognuno erediti il proprio secondo confuse linee di sangue e araldiche negoziate. Io credo che quando la poesia ci lascia, noi sopravviviamo a stento. Scrivere è chiamare la notte artica e nel silenzio incidere anatomie vitruviane di come si sfarina il proprio viso, lungo quali labbra e quali connotati e annotazioni sulla durata del processo. E i rimasugli sulfurei.

Tutto questo ha un nome da dottrina sociale, "opzione prefenziale per il cadavere". Ed è diventato di nuovo un maledetto stream, ovviamente. Non so più scrivere, credetemi, santo Dio. Certo mi consolerebbe la scrittura così arrendevolmente desueta di una che non conosco. Io, per me, mai che sia riuscito ad essere desueto e vivo nello stesso momento. Chiaramente non risponde, però. Di tutti i mondi possibili, ci è capitato il più poujadista. Bello schifo.


but always at evening time she cried.

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