martedì 28 giugno 2011

Restless dead

I regard the existence of discarnate spirits as scientifically proved and I no longer refer to the skeptic as having any right to speak on the subject. Any man who does not accept the existence of discarnate spirits and the proof of it is either ignorant or a moral coward. I give him short shrift, and do not propose any longer to argue with him on the supposition that he knows anything about the subject.

James Hyslop, Professor of Logic and Ethics at Columbia University


Esiste, sconosciuta ai più, una considerevole mole di indizi scientifici a favore della survival hypotesis. L'aldilà, insomma. Tanto che, studiando la letteratura in merito, la tavola dei valori ne esce sovvertita e tornare a credere nella nostra estinzione finale richiede un potente atto di fede. Un atto di fede in Eschilo, Sofocle, Euripide, nella ghigliottina e nel conte Rochejaquelein, nella carica della Brigata Leggera e nel milite ignoto, nelle ultime scene dei film, in Cristo e nei chiodi, nei trapianti di cuore, nella geopolitica della pace, nella paura che naturalmente ci ispirano la notte e i denti dei coccodrilli, nelle ringhiere delle scale e nei materiali isolanti. Se a questo colossale circo di medium veridici, spettri materializzati, telepati ganzfeld, sincronicità junghiane, voci dei morti emergenti da radio senza valvole, se alla marea montante della ricerca non opponiamo la spiegazione onnipotente dell'inganno, se dentro ogni scacchista magico non troviamo il relativo nano nascosto – e io, onestamente, non credo si possa - allora dobbiamo scendere a patti con le conseguenze di una nuova realtà. E assistere all'ultimo, grande semanticidio scientifico della storia umana: la scomparsa del concetto di tragico. Difficile tracciare, a prima vista, un parallelo fra il materialismo che ha ucciso il principio antropico e la parapsicologia che ucciderà la tragedia: eppure, la scienza descrive l'universo, e l'universo non ha interesse per la coerenza filosofica dei paradigmi. Un universo increato, senza Dio, senza senso, nel quale sopravviviamo alla nostra morte come i pianeti restano in orbita, per decreto dello spazio-tempo. Una consapevolezza del genere fa esplodere le prospettive, diluendo qualsiasi evento in un oceano di estensione al punto che l'unica misura possibile diviene l'infinitamente piccolo, un sistema subatomico in cui elettroni indeterminati esistono aneddoticamente, senza troppa importanza né interesse. Se la morte non è definitiva, la sofferenza è impossibile. Se la morte non è definitiva, intorno al pugnale di Clitennestra danzano spiriti curiosi, e insieme all'Iprite soffia nelle trincee la risata di coscienze disincarnate. Se noi non moriamo, nessuna autenticità può sopravvivere: l'intero esperibile diventa uno scherzo, e i condannati di Goya proiettano, con le mani, ombre di coniglietti sul muro marrone, mentre i soldati sparano forzosamente a salve. Senza morte, non ci resta che restituire il mondo alla nebbia delle possibilità fumose e sostituirlo con il divertito, eterno rumore di fondo del pensiero. Alla fine della storia, non è necessario l'assurdo per rendere conto della felicità di Sisifo: nel nostro universo non si può essere che felici, di quella felicità stordita di chi si sveglia al mattino senza sapere giorno, né ora.

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