mercoledì 10 marzo 2010

Clima(x)

Come certamente saprete, sono ancora un Poeta e scrivo ancora Poesie. E neppure i titoli sono cambiati, i titoli che non smettono di divertire. Manca didomi.
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L'aria compressa che sale dalle gallerie, dal basso,
che corre dall'abisso agli occhi - e cioè dalle caverne, le stalattiti i soffitti - ora investe il cristallino, la capsula, e all'impatto
è già collirio, goccia. Un primo sortilegio, una patina e non è dolore - ma l'astuccio
che precede il pianto, uno strumento, la cintura di fiato. Le mani
foderate, l'imbocco, una regione transennata, un avamposto alle ringhiere. E il colpo, l'infarto termico dilaga, spalanca questa falla liquida, una congiuntivite dei tunnel. Si innesta come un diaframma
tra le zone del freddo e il mondo, uno steccato del vapore, soprattutto gli occhiali. (La condensa è un ingresso, un'iniziazione ai ghiacci - che, immensi, abitano la montatura. La pellicola, la mucosa
che setaccia l'inverno, e cola. Similmente la doccia, la filigrana del vetro.)
E dunque questa anticamera-antiscivolo, la gomma, le piastrelle e la ghisa
un intero polmone lucente, flessibile, il metallo lanciato
a coprire un arrivo. Voglio dire che a riemergere, con uno sbuffo,
sono io-allegoria, io-termometro - voglio dire le tacche, il (de)grado.
Intercede, per noi, il vento. Siccome ogni atrio e ad ogni ora è un incanto di ombre
e marmi e ancora, fino allo sconcerto - e la morte invece così, nebulizzata, lo smog, la peste-spray e mi piace.

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